1. RENZI NON HA PIU’ LA MAGGIORANZA
Alessandro Sallusti per “il Giornale”
Mentre i giornali si occupano della «destra che non c' è» - l' altro ieri La Repubblica , ieri il Corriere della Sera - con articoli di fondo e dotte analisi, il parlamento si incarta sulla sinistra che va in pezzi. La vera notizia infatti è che Matteo Renzi non ha più la maggioranza politica per approvare le sue riforme istituzionali.
La minoranza del Pd ha abbandonato il tavolo delle trattative con gli emissari del premier per modificare la riforma del Senato. Non la voteranno, come del resto già ventilato da non pochi senatori dell' altra gamba della maggioranza, l' Ncd di Alfano. Si andrà quindi allo scontro in aula, muro contro muro. Renzi in queste ore conta e riconta amici e nemici, ma i conti non tornano. Rischia seriamente di andare sotto e chiudere così anticipatamente la sua prima avventura da premier, pugnalato da mani - si fa per dire - amiche. Ma anche se dovesse sfangarla per qualche ennesimo voto comprato dall' opposizione (oltre a quelli dei verdiniani già inglobati in cambio di chissà quali promesse), il problema politico rimarrebbe grande come una casa.
Questo casino sul nulla, o meglio su nulla che possa produrre effetti benefici sui cittadini - la riforma del Senato è un fatto interno alla casta della politica - dimostra tre cose. La prima: entrare a Palazzo Chigi con un blitz, senza passare dalle urne come ha fatto Renzi, porta inevitabilmente a un' insanabile rottura tra governo (di nominati) e parlamento (di eletti).
Secondo: vedere Alfano e Verdini, eletti coi voti del centrodestra, battersi per salvare un governo di sinistra, così come Bersani e Bindi, eletti coi voti del centrosinistra, lavorare per fare cadere un governo del Pd, provoca uno sconcerto tale che allontana gli elettori dalle urne e ingrossa le file di Grillo.
renzi a cernobbio con la boschi ni
Terza osservazione. Se Renzi è disposto davvero a giocarsi la testa su una cosa simile significa che ha ragione chi sostiene la seguente tesi: il combinato tra riforma elettorale (premio alla lista) e riforma del Senato (senatori non eletti) è il modo con cui il giovane premier vuole impossessarsi del potere e blindarlo per i prossimi vent' anni. Nei quali, conoscendolo, non farà prigionieri, ma taglierà teste sia tra gli oppositori interni al suo partito che tra gli utili idioti del centrodestra e dell' Ncd disposti ad appoggiarlo sperando di avere poi salva la vita. Che per loro non coincide con la dignità ma con poltrone e stipendi sicuri.
2. QUESTO VOTO PUÒ PORTARE ALLA CRISI DI GOVERNO
Marcello Sorgi per “la Stampa”
La rottura della minoranza Pd e l’abbandono del tavolo delle trattative con la ministra Boschi e la maggioranza del partito non sono certo avvenuti a sorpresa. Dopo la decisione di Renzi di chiudere definitivamente a ogni ipotesi di mediazione sull’articolo 2 della riforma del Senato, agli oppositori interni del premier non restava altra strada. Almeno, adesso, tutto ciò che era intuibile è venuto allo scoperto.
BOSCHI IN SENATO DOPO L'APPROVAZIONE DEL DDL SUL SENATO
La minoranza, con la richiesta irrinunciabile di tornare ai senatori elettivi, è il rifiuto anche della possibilità di mettere gli elettori in condizione di scegliere i consiglieri regionali da destinare alla Camera alta tramite un listino specifico, ha svelato che il proprio vero obiettivo era di far ripartire da capo l’iter parlamentare della riforma. Renzi, che l’aveva capito da tempo, ha deciso di accorciare i tempi e portare la discussione subito nell’aula di Palazzo Madama.
Dove, a questo punto, si voterà non più e non solo pro o contro la riforma, ma anche sulla crisi di governo, che si aprirebbe subito se il governo andasse sotto in una delle votazioni.
Decidere quante saranno e cosa riguarderanno queste votazioni, toccherà al presidente del Senato Grasso, che inutilmente nei giorni scorsi aveva invocato un accordo politico interno al Pd, ed ora che quest’intesa si è rivelata impossibile deve stabilire se ammettere le centinaia di migliaia di emendamenti presentati proprio sull’articolo 2. Se li ammette, dà ragione alla minoranza Pd e alle opposizioni e pone il governo a rischio, perché è matematicamente certo che in una tale ondata di votazioni a scrutinio segreto il governo andrebbe sotto.
Se rifiuta di ammetterli, applicando l’articolo del regolamento del Senato che prevede che un testo non possa essere rimesso in discussione se le Camere lo hanno già votato due volte in modo conforme, invece dà una mano a Renzi. Grasso è riuscito finora a tenere per sé la convinzione che ha maturato, ma non l’irritazione verso Renzi per il mancato accordo con la minoranza Pd. Il modo brusco con cui ha reagito ieri sera all’annuncio di Palazzo Chigi della convocazione per stamane dei capigruppo del Senato la testimonia.
Su questa complicata situazione in evoluzione vigila il Capo dello Stato. Il suo silenzio non vuol dire approvazione per nessuna delle parti in causa. Ma la sua ferma intenzione di evitare un nuovo scioglimento delle Camere, alla fine, potrebbe rivelarsi utile per convincere i due schieramenti che continuano a farsi la guerra a cercare di nuovo la via di un accordo.