Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera
Matteo Renzi non vede l' ora che arrivi il 30 aprile. Fino a quella data sarà, come si definisce lui con un pizzico di civetteria, un «cittadino semplice». Dopo, invece, tornerà a essere il segretario del Partito democratico e potrà finalmente giocare la sua partita politica su due fronti: manovra economica e legge elettorale.
Il primo fronte, ovviamente, comprende anche il rapporto tra il Pd e il governo. Le affermazioni del ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan, che in un' intervista al Messaggero ha ipotizzato l' aumento dell' Iva, non sembrano preoccupare più di tanto l' ex premier. «Nel Def c' è scritto chiaramente che l' aumento non ci sarà, dunque non aumenteremo l' Iva», ha spiegato l' ex presidente del Consiglio a chi gli chiedeva lumi.
Renzi ha ribadito più volte nell' ultimo periodo che il governo deve andare avanti, ma l' ex segretario ritiene anche, e non lo ha nascosto ai suoi, che l' esecutivo debba «far uno sforzo in più». «Non ci possiamo far dettare l' agenda dall' Europa», è il suo pensiero. Perciò, se l' Unione Europea si ripresenterà con il volto dell' austerity bisognerà ingaggiare un braccio di ferro senza timidezze: «Non possiamo continuare con il "ce lo chiede l' Europa"», ha ribadito qualche giorno fa.
Ma c' è ancora chi è convinto, anche dentro il Pd, che, nonostante le sue rassicurazioni pubbliche, Renzi possa far saltare il tavolo proprio sulla manovra se non sarà quella da lui auspicata, puntando sulle elezioni in autunno.
Sul secondo fronte, quello della legge elettorale, l' ex premier comincerà a giocare la sua partita l' 8 maggio, dopo che saranno sanciti i numeri dell' assemblea nazionale e della direzione del Pd. Quando, cioè, saranno chiari i rapporti di forza interni al partito. L' idea è quella di mantenere il premio di maggioranza alla lista, estendendolo anche al Senato, e di portare la soglia di sbarramento al 5 per cento sia a Montecitorio che a Palazzo Madama (ora sono rispettivamente al 3 e all' 8 per cento).
Ma per ottenere questo ci vuole il via libera di Forza Italia che al momento è però attestata sul premio alla coalizione. Perciò Renzi e i suoi hanno lasciato intendere di voler rinunciare ai capilista bloccati. È una forma di pressione nei confronti di Forza Italia, che senza quella norma rischierebbe di veder bocciati tutti i candidati di Silvio Berlusconi. Per questa ragione Matteo Renzi guarda con sospetto alle aperture a Forza Italia di Luigi Zanda.
Non si fida di Berlusconi e teme che alle sue spalle si stia giocando una partita per far tornare in auge il premio di coalizione e aggregare su di esso una maggioranza trasversale. Del resto, anche nel Pd, ci sono esponenti favorevoli a quell' ipotesi. Due nomi per tutti: Dario Franceschini e Andrea Orlando. Ma «male che vada», avverte un renziano di primo piano, «andremo a votare con il sistema attuale, tanto siamo gli unici a cui conviene».