Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
Si sono sentiti con l' intenzione di vedersi all' inizio della prossima settimana, se nei dettagli della trattativa nessuno dei due vedrà annidarsi il diavolo. E siccome sta andando così, sarà un' altra volta Renzi-Berlusconi, dopo tre anni e mezzo passati a rinfacciarsi il tradimento del patto, trascorsi a giurare che «mai e poi mai» sarebbero tornati a sottoscriverne un altro, impegnati com' erano a farsi la guerra perché alla fine ne restasse solo uno.
Invece eccoli, di nuovo, a un passo dall' intesa sulla legge elettorale che farebbe da preludio alle elezioni anticipate dopo l' estate. E mentre i loro sherpa li informano con reciproca soddisfazione dei «notevoli progressi», si parlano, quasi a voler dare un' ulteriore spinta alla mediazione. Non c' è più la complicità di un tempo, e soprattutto non sono più gli stessi, perché non hanno più la stessa forza politica di allora.
Ma è proprio questo che li ha spinti a ristabilire i rapporti, perciò hanno ripreso a parlarsi sebbene con fredda cordialità. Uno o due contatti questa settimana, poco importa. Il punto è che Renzi - intenzionato a evitare un autunno caldo di appuntamenti elettorali e di scadenze finanziarie - non poteva permettersi l' azzardo in Parlamento sulla riforma elettorale senza il sostegno di Berlusconi. E Berlusconi - preoccupato dall' avanzata dei populismi e dalla crisi di ciò che fu il suo impero - non poteva pensare di riacquisire centralità politica senza la sponda di Renzi.
Lo chiameranno «tedesco», se l' accordo verrà sancito. Anche se il modello proporzionale su cui si sta lavorando non è un gemello omozigote del sistema applicato in Germania: è un impianto all' italiana destinato probabilmente a qualche modifica in Parlamento, perché al battesimo serviranno i testimoni.
Forse i grillini, di sicuro i leghisti: Salvini ha interesse a prendere poi le distanze da Berlusconi, così da poterlo additare in campagna elettorale di un nuovo inciucio. È la logica del proporzionale, che a differenza del maggioritario fa del vicino più prossimo l' avversario a cui sottrarre voti. È la stessa logica che adotteranno gli scissionisti contro Renzi, pronti già a distanziarsi dal governo Gentiloni.
Per il segretario del Pd e per il leader di Forza Italia si scorge il rischio di finire dentro la tenaglia, perciò tentano di derubricare l' evento a puro patto «tecnico», sebbene stiano concordando il timing della riforma nel Palazzo, il timing delle urne nel Paese e anche le procedure per il governo che verrà. Sembra tutto fatto, invece sono solo all' inizio di un percorso pieno di insidie.
Se davvero tra i due stanno per essere dissipati i vecchi sospetti, se Renzi non teme più che Berlusconi voglia prendersi il modello elettorale e poi prendersi del tempo; e se Berlusconi non teme più che Renzi faccia finta di accordarsi per poi far saltare tutto e passare al Consultellum, ci saranno poi altri passaggi parlamentari e istituzionali durante i quali non potranno fare da soli.
Staccare la spina al gabinetto Gentiloni, per esempio. O evitare l' esercizio provvisorio. L' idea - spiegata ieri dall' Huffington post - di anticipare la legge di Stabilità potrebbe essere percorribile, visto che ci sono due precedenti: quello dell' ultimo governo Berlusconi e quello dell' unico governo Monti. Ma in questo caso servirebbe un' intesa nella maggioranza tra il Pd e i centristi, che per ora sono stati tenuti ai margini della trattativa sulla legge elettorale.
Senza dimenticare i voti a scrutinio segreto sulla riforma, che potrebbero cambiare radicalmente i connotati al «tedesco», passasse un solo emendamento. Uno scherzetto del genere al Senato e salterebbe la tempistica per l' approvazione della legge. E quei parlamentari che si sentono potenzialmente dei «trombati», anche nel Pd e in Forza Italia, potrebbero essere tentati...
Non basta una telefonata per salvare la vita al «tedesco». E nemmeno un incontro tra Renzi e Berlusconi, perché rispetto a due anni e mezzo fa sono cambiate le condizioni in cui si apprestano a siglare un nuovo patto. Anche se la dinamica è la stessa del vecchio Nazareno, anche se provano a precisare che si tratta solo di un' intesa «tecnica».
Ma rispetto al patto precedente, i voti da unire sulla riforma in questo Parlamento serviranno per unire poi i voti sul governo nel nuovo Parlamento. È la vera scommessa, alla quale se ne aggiunge un' altra: la volontà di Renzi di tornare a palazzo Chigi, che resterà la parte non scritta dell' accordo, una sorta di pagherò berlusconiano a futura memoria.
Tre anni e mezzo fa proprio una parte non scritta del patto, cioè la scelta dell' inquilino al Quirinale, fece saltare il rapporto tra i due e innescò lo scontro che si consumò al referendum costituzionale: il 4 dicembre perse Renzi ma non vinse Berlusconi, altrimenti non si sarebbero risentiti e non si starebbero per rivedere. Perché dei due non ne è rimasto uno solo. Solo che i due, indeboliti, sono costretti a mettersi d' accordo per battere un avversario comune.