Estratto dell’articolo di Giovanni Orsina per “La Stampa”
Attribuire a Elly Schlein la responsabilità del pessimo risultato che il Partito democratico ha ottenuto nelle ultime elezioni amministrative sarebbe sbagliato e ingeneroso. Non soltanto perché si tratta di un voto di portata limitata, né perché è diventata segretaria del partito da poche settimane. Ma perché le difficoltà dei democratici sono, a ben vedere, la manifestazione locale di una crisi più generale nella quale la sinistra versa in pressoché tutte le democrazie avanzate, come hanno dimostrato da ultimo anche le elezioni greche e spagnole. Il discorso va allargato, allora: da quale malessere sono affette, le forze politiche progressiste?
La risposta che propongo è: da un malessere soprattutto culturale. Ma come – si obietterà – ma se da settimane non si parla d'altro che della presunta egemonia culturale della sinistra! Adesso scopriamo invece che la cultura non è il punto forte del progressismo, ma è quello debole?
[…] Mi sembra che il progressismo sia in effetti culturalmente egemone, per lo meno nel senso che, all'interno delle istituzioni e fra le professioni in senso lato culturali, quanti vi si riconoscono sono in larghissima maggioranza. Ma mi sembra pure che a quest'egemonia non corrisponda la capacità di elaborare un pensiero adeguato alla nostra epoca.
Un'incapacità che rende il predominio sterile ma anche, paradossalmente, più visibile e irritante di quanto non sarebbe altrimenti. Negli ultimi decenni la cultura progressista ha perso in larga misura il contatto con la realtà. Si è molto concentrata sui propri valori, su come riteneva che la realtà dovesse essere in astratto, e si è troppo spesso dimenticata di descriverla, comprenderla e concettualizzarla, invece, per com'è in concreto.
[…] Fra la loro cultura e le vite concrete della maggioranza degli esseri umani si è così aperto uno iato che, col tempo, si è venuto facendo sempre più ampio e profondo. È anche in quello iato che è nata l'insurrezione politica cosiddetta populista.
MEME SU ELLY SCHLEIN CON LA GIACCA DA OPERAIO
Schlein […] non può avere colpa se le elezioni amministrative le ha vinte la destra. È lecito invece domandarsi di che tipo di cultura sia portatrice, ovvero se sia la persona adatta a ricostruire il collegamento perduto fra il progressismo e la realtà.
Almeno per quel che si è sentito finora, temo che la risposta a questa domanda debba esser negativa: il mondo mentale di Schlein appare largamente dominato dalle petizioni di principio. E non è questione di radicalismo. […]
Prendiamo due esempi ormai «classici», la guerra in Ucraina e la costruzione di un termovalorizzatore a Roma. Due argomenti sui quali, com'è noto, Schlein ha mostrato più di qualche titubanza. A partire da quel che ho scritto sopra, mi pare che queste ambiguità si spieghino così: i valori ambientalisti e pacifisti della segretaria democratica la spingerebbero a frenare sull'Ucraina e a opporsi senz'altro al termovalorizzatore; la realtà tira però, con prepotenza, nella direzione diametralmente opposta; e alla fine Schlein è costretta a piegarsi, ma lo fa malvolentieri.
Accetta così di far convivere le proprie convinzioni con la lezione dei fatti, ma è una convivenza forzata e artificiale. Ecco: una cultura vitale non subisce i fatti come un pugno in faccia. Una cultura vitale, anche radicale, assorbe la realtà, la fa propria, si avvolge e ricostruisce intorno a essa, la digerisce e rielabora. La sa pensare per com'è e ne sa pensare al contempo il cambiamento per come vorrebbe che fosse.
E la destra? La cultura di destra è forse più adeguata alla realtà di quella di sinistra? Assolutamente no. […] La destra non vince le elezioni malgrado le manchi l'egemonia culturale, allora – le vince proprio perché non ce l'ha. Perché viaggia leggera, perché può mettersi in contatto diretto, senza alcuna mediazione, col senso comune degli elettori. E in quel senso comune […] si trova tuttavia la realtà per come la vivono le persone qualunque. Non poca cosa, per chi desideri raccoglierne il voto.
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