Danilo Ceccarelli per “la Stampa”
L'ultima volta che Mahmoud Moradkhani ha incontrato la Guida Suprema dell'Iran Ali Khamenei, suo zio, era il 1984. «La mia famiglia gli chiese un'autorizzazione ufficiale per lasciare il Paese ma ce la rifiutò», ricorda il dottore, che oggi è otorinolaringoiatra a Croix, piccolo comune nei pressi di Roubaix. Da quel giorno, le loro strade si sono separate, anche se Moradkhani ha continuato, seppur a distanza, a contestare il potere di Teheran. Come la madre Badri Hossein Khamenei, sorella dell'ayatollah.
Lei, sull'ottantina, è rimasta in Iran, dove nei giorni scorsi ha inviato una lettera aperta al fratello, schierandosi apertamente al fianco delle proteste. «Siamo sempre stati all'opposizione», dice il medico spiegando che il padre Ali, morto un paio di mesi fa, ha partecipato alla rivoluzione del 1979 per poi prenderne quasi subito le distanze: «L'ayatollah Khomeini lo considerava come un figlio» ma «dal punto di vista di mio padre la religione non sarebbe dovuto arrivare a governare».
Una storia di contestazione familiare lunga più di quarant' anni, che negli ultimi mesi si è riaccesa con le manifestazioni scoppiate in tutto il Paese. E proprio nel clima di tensione che regna in questo momento in Iran è scattata la condanna a tre anni di prigione della sorella di Moradkhani, Farideh, che in un video aveva attaccato il regime seguendo l'esempio della madre. Per questo quando gli viene chiesto di sostenere l'appello de La Stampa per la liberazione di Fahimeh Karimi, il medico non esita un secondo: «Mettete pure la mia firma!».
Dottor Moradkhani, adesso teme per l'incolumità di sua madre e di sua sorella?
«Se avessimo avuto paura di morire non ci saremmo opposti al regime. Facciamo comunque parte della famiglia di Ali Khamenei, sappiamo che non ci uccideranno perché sarebbe controproducente per loro».
Ha avuto più notizie da sua madre?
«Prima chiamava quasi tutti i giorni, ma dopo la diffusione della lettera non le hanno più permesso di avere contatti con noi».
Come giudica la condanna inflitta a sua sorella?
«È un pretesto per colpire tutta la mia famiglia. Era stata incarcerata all'inizio dell'anno e in seguito rilasciata su cauzione. Quando è stata pronunciata la condanna, ha chiesto di rientrare a casa per prendere le sue cose con al promessa di tornare, ma è stata fermata con la forza e imprigionata. Del resto, anche io se tornassi in Iran sarei immediatamente arrestato».
La protesta in Iran è esplosa dopo che una ragazza, Mahsa Amini, è morta mentre era in stato di fermo, scattato perché non indossava correttamente il velo. Sua sorella, però, in un video di protesta che proprio lei ha pubblicato su Youtube è apparsa con il volto coperto.
«Lei è credente, ma tenere l'hijab è stata anche una scelta mirata. Quando scendeva in strada a manifestare mi diceva di voler dimostrare che la protesta non riguarda solamente i giovani intenzionati a voler vivere all'occidentale, come la propaganda di regime ha cercato di far credere. Il movimento in atto richiede la libertà totale: di pensare, di parlare e di lavorare. È importante dimostrare che anche le persone più religiose sono contrarie al potere centrale di Teheran».
Pensa che le autorità di Teheran abbiano i giorni contati?
«Il regime è destinato a cadere, sono anni che aspettiamo».
Come si spiega questa resistenza?
«Le ragioni sono molteplici. In questi anni non è stata creata un'opposizione abbastanza forte, con un programma chiaro da presentare agli iraniani e alla comunità internazionale. La maggior parte della popolazione è contraria al regime ma al tempo stesso ha paura che possa scoppiare una guerra civile con esecuzioni sommarie.
Poi c'è anche un aspetto internazionale. L'Iran è sostenuto da Mosca e Pechino, ma anche l'Unione europea e gli Stati Uniti per anni hanno perso tempo a negoziare sul dossier del nucleare, continuando a mantenere aperti i canali commerciali. I Paesi europei devono richiamare in massa i loro ambasciatori a Teheran in segno di protesta».
E le sanzioni?
«Non bastano, perché l'Iran sul piano economico ha relazioni commerciali con la Cina, la Russia, l'India e i Paesi limitrofi. Economicamente non è il regime ad essere in difficoltà, ma il popolo».
Secondo un'inchiesta del Guardian, durante i cortei la polizia colpisce volontariamente le donne al volto, ai genitali e al seno per sfigurarle. Neanche questa violenza basterà a scoraggiare la protesta?
«Sono più di 40 anni che in Iran va avanti la repressione. Ci sono state esecuzioni sommarie, dei veri e propri massacri nelle strade. Ma adesso c'è più coraggio. La gente che manifesta non ha più paura e risponde alle aggressioni. Più si cercherà di reprimere la contestazione e più aumenterà l'odio nei confronti del regime».
Cosa è cambiato in questi anni?
«Nel 1979, quando c'è stata la rivoluzione, io avevo 15 anni. Ho visto come sono cambiate le cose e so che l'attuale regime ha mentito su chi l'ha preceduto. I giovani che scendono in strada oggi, invece, sono nati in questa situazione e hanno capito che l'unico modo per cambiare le cose è manifestare. Soprattutto le donne, che con il loro coraggio e la loro sensibilità stanno cercando di liberarsi».