Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
«Amo tanto anche l' Italia, il mio Paese natale, ma penso che combattere contro la diffamazione di Israele e per l' esaltazione del suo magnifico attaccamento alla democrazia, benché circondato da nemici, sia il compito primario di ogni ebreo», ripeteva esaltata Fiamma Nirenstein. Il primo ministro Benjamin Netanyahu l' aveva da poche ore designata ambasciatrice a Roma.
Da allora sono passati dieci mesi e le parole che hanno contato di più - sembra - sono invece quelle che aveva scritto da giornalista nel 1996: un profilo di Sara Netanyahu ai tempi del primo mandato del marito al governo, intitolato «Un mostro vestito da first lady». L' articolo è stato ritirato fuori in Israele tre settimane fa da Haaretz e adesso il quotidiano attribuisce alla rivelazione la decisione finale di rinunciare alla candidatura.
Nel pomeriggio di ieri Nirenstein ha avuto un lungo colloquio a Gerusalemme con Dore Gold, direttore generale del ministero degli Esteri. Poi ha spiegato la scelta in un comunicato ufficiale: «Ringrazio il primo ministro per la sua fiducia in me. Voglio esprimere la volontà di continuare a contribuire allo Stato di Israele al meglio delle mie possibilità».
FIAMMA NIRENSTEIN FRANCO FRATTINI
Le ragioni sono «personali» come ribadiscono i consiglieri di Netanyahu all' agenzia Ansa . Il primo ministro israeliano non ha cambiato idea e tantomeno la causa sarebbe l' articolo ripescato da Haaretz : «Il premier non ha ritirato il suo appoggio alla candidatura». L' unica motivazione pubblica resta quel «personali».
Già deputata del Popolo della libertà e vicepresidente della commissione Esteri della Camera, Fiamma Nirenstein ha anche la cittadinanza israeliana (presa nel maggio del 2013). Nel sceglierla come ambasciatrice Netanyahu ha spiegato di aver apprezzato le campagne con l' associazione Amici europei di Israele e l' essere stata la fondatrice di Iniziativa amici di Israele: «Sono convinto che porterà con sé nel ruolo - aveva detto nell' agosto dell' anno scorso - la sua considerevole esperienza politica e diplomatica e avrà successo nell' approfondire le relazioni tra il nostro Paese e l' Italia».
Il giornalista Barak Ravid ha seguito il percorso che avrebbe dovuto portare alla nomina e ha raccolto su Haaretz le indiscrezioni e le perplessità di chi era contrario. Anche dall' Italia: un mese fa aveva rivelato di un messaggio inviato dal premier Matteo Renzi - smentito da Palazzo Chigi e dal governo israeliano - per chiedere a Netanyahu di ripensarci.
A Roma le obiezioni sarebbero state sollevate dal ministero degli Esteri e da quello della Difesa. Quella del quotidiano liberal israeliano è sembrata una campagna per ottenere la revoca della candidatura di Nirenstein, ripresentare l' articolo su Sara Netanyahu era stato l' ultimo colpo.
In questi mesi le scelte di Netanyahu per i nuovi ambasciatori hanno incontrato ostacoli, anche perché il primo ministro ha imposto nomi politici al di fuori dei diplomatici di carriera.
Il governo brasiliano ha rifiutato le credenziali a Dani Dayan, già capo di Yesha, il movimento dei coloni. Da Brasilia è stato dirottato sul consolato a New York, dove è riuscito a inimicarsi in poco tempo J Street, un' organizzazione lobbista che vuole rappresentare gli ebrei americani di sinistra, accusandola di sostenere per la Casa Bianca «tutti i candidati anti-israeliani».
Ancora meno diplomatico è Danny Danon, incaricato di rappresentare Israele alle Nazioni Unite: prima di arrivare al Palazzo di Vetro guidava nel Likud l' ala ultranazionalista, contraria a un accordo con i palestinesi e favorevole all' annessione della Cisgiordania.
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