Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”
Sorriso rassicurante e passo felpato, Roberto Fico non è più da tempo lo scugnizzo movimentista passato dai call center al Vaffa Day. Ora si muove con destrezza tra i marmi policromi della Sala della Regina, indossando, sia pure in maniera non del tutto impeccabile, la sua marsina da gran tessitore.
Temuto da Luigi Di Maio, per le sue inclinazioni a sinistra e per la sua presa sul Movimento, è stato relegato in un ruolo istituzionale alla presidenza della Camera, dove si è accomodato volentieri. Un po' come accadde (mutatis mutandis) quando Enrico Berlinguer ci spedì il grande ma incontrollabile Pietro Ingrao e, prima ancora, come fece Alcide De Gasperi con Giovanni Gronchi, che lo usò come trampolino per il Quirinale.
Fico non ambisce a tanto, ma in questi giorni si gode il ruolo di trait-d' union e di «fluidificatore», come lo chiamano.
LA DELEGAZIONE M5S ALLE CONSULTAZIONI CON ROBERTO FICO
Con un pensiero a Napoli, dove un successo dell'esplorazione romana potrebbe accelerare la sua ascesa a Palazzo San Giacomo. Più istituzionale che mai, Fico rispetta rigorosamente tutti i protocolli. Ogni tanto inciampa in qualche sgrammaticatura politica, ma rimedia con quello che un esponente di una delegazione definisce «ascolto attivo». È il primo presidente della Camera a svolgere per due volte consecutive nella stessa legislatura il mandato da esploratore. A distanza di anni, l' unico precedente è quello di Amintore Fanfani, prima nel '69, poi nell' 86, quando fu chiamato a fare da paciere tra Ciriaco De Mita e Bettino Craxi. Con successo, visto che nacque il Craxi II.
NICOLA ZINGARETTI ROBERTO FICO
Il leader di Italia viva in questi giorni gli ha gentilmente offerto Palazzo Chigi, pur di scalzare Giuseppe Conte. Un modo anche per incrinare la compattezza del Movimento e per schiacciare a sinistra i 5 Stelle. Fico ha declinato l'offerta, ben consapevole delle difficoltà dell' impresa, dell' opacità dell'avance e del fatto che, anche nel caso improbabile di un successo, sarebbe apparso come l'accoltellatore di Conte.
Il presidente della Camera è concentrato su una soluzione positiva della crisi anche perché ha un'altra aspirazione, che fatica a nascondere: diventare sindaco di Napoli. Un successo gli aprirebbe una strada che ha già provato a percorrere nel 2011, non riuscendo neanche a raggiungere il 2 per cento.
ROBERTO FICO CON IL PUGNO CHIUSO ALLA PARATA DEL 2 GIUGNO
I tempi sono cambiati e il centrosinistra ha tre nomi per l' epoca del dopo De Magistris: il suo e quello dei due ex ministri Enzo Amendola e Gaetano Manfredi. A domanda diretta, un mese fa Fico rispose «no comment». A Lucia Annunziata spiegò: «Mi piacerebbe fare il sindaco di Napoli, amo tutto di Napoli». La ama tanto che, per farsi perdonare la laurea a Trieste, ha fatto una tesi sui neomelodici napoletani.
Certo, se la cosa andasse in porto, dovrebbe abbandonare la presidenza in pieno mandato, visto che a Napoli si vota ad aprile. Ma non sarebbe così traumatico se ci fosse un accordo preventivo: per esempio se il suo posto venisse preso da Dario Franceschini, che cederebbe il ruolo di capo delegazione ad Andrea Orlando. Tra le ipotesi che lo potrebbero favorire c' è anche quella di uno slittamento, causa campagna di vaccinazione, delle elezioni amministrative.
Italia viva in Campania ha raggiunto una delle percentuali più alte in Italia, superando il 7 per cento. Un' intesa a Roma sarebbe un buon viatico per ottenere il via libera di tutti. E sarebbe la conclusione di un percorso che si attaglia alla storia politica di Fico. Napoli, dove il tavolo con il centrosinistra già esiste, potrebbe essere l' avamposto dell' alleanza strutturale con il Pd. Quell' alleanza che fino a poco tempo fa era considerata solo occasionale e che ora perfino Vito Crimi chiede che sia allargata oltre l' orizzonte del governo.
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