Da corriere.it
«No alla lobby LGBT! No violenza islamista! No all’immigrazione! No alla grande finanza internazionale». Giorgia Meloni scatenata - in spagnolo - durante un comizio a Marbella a sostegno di Macarena Olona, candidata di Vox alla presidenza dell’Andalusia.
LA RESA DEI CONTI NEL CENTRODESTRA
Francesco Verderami per corriere.it
Le Amministrative non causeranno contraccolpi sul governo ma potrebbero provocare una sorta di armageddon nel centrodestra.
I risultati di Palermo, Genova e l’Aquila (dove il centrodestra dovrebbe vincere al primo turno) preannunciano una buona affermazione dell’alleanza.
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Ma il punto è un altro: se oggi venisse certificato ciò che le proiezioni lasciano pensare — cioè il sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega — o Salvini accetterebbe la leadership della Meloni o il progressivo logoramento dei rapporti in seno all’alleanza determinerebbe una svolta anche sul sistema elettorale.
E aprirebbe la strada al proporzionale.
La coalizione è al bivio. Già ieri ha subìto una picconata, perché il flop dei referendum sulla giustizia — al di là delle numerose attenuanti che possono giustificare il risultato — segna il fallimento di una battaglia storica di Forza Italia e del Carroccio, che si era intestato la sfida referendaria insieme ai Radicali.
La seconda picconata colpirebbe direttamente Salvini.
Se le urne — come anticipavano ieri alcuni test demoscopici sul voto — registrassero un forte arretramento della Lega al Sud e una flessione al Nord, vorrebbe dire che il progetto di un «partito nazionale» si è arenato.
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E la contemporanea ascesa di FdI pregiudicherebbe il disegno del «Capitano» di guidare alle prossime elezioni un «centrodestra di governo», a cui lavora dal 2018, quando conquistò il primato nell’alleanza.
Così si consumerebbe anzitempo la competizione con la Meloni.
E si aprirebbe un durissimo confronto nel Carroccio, dove lo stato maggiore fatica ormai a nascondere la crisi di rapporti con il suo segretario.
L’attenzione dei dirigenti leghisti non è concentrata solo sui risultati nelle grandi città. Indicativi sono i test nei piccoli centri del Nord, dove lo zoccolo duro elettorale è consistente. Se anche lì franasse il consenso, sarebbe la riprova dei «troppi errori» di una gestione «solitaria» e di una linea politica «contraddittoria» che ha portato a una «perdita d’identità e di credibilità». Di più.
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Il timore nel Carroccio è che alle prossime Politiche la Lega non superi il 10%: alla Camera — visto il taglio dei parlamentari — significherebbe conquistare 50 seggi, rispetto agli attuali 130. E ciò porterebbe al rompete le righe della filiera dei dirigenti locali, che capirebbero di non avere spazio.
Chi ha parlato con Giorgetti in questi giorni lo ha trovato «sconsolato». Il rischio di una marginalizzazione della Lega a livello nazionale ed internazionale è al centro di molte discussioni.
Le voci di scissione non appaiono tuttavia realistiche, perché «non è nel dna dei leghisti. Si tenterà piuttosto di cambiare rotta senza distruggere il partito», spiega un autorevole esponente del Carroccio: «Sul modo in cui arrivarci però, non c’è al momento un’idea precisa».
Il paradosso è che a difendere Salvini è rimasto Berlusconi. E la linea del Cavaliere accredita l’ipotesi di un processo federativo, che incontra l’ostilità dei leghisti d’antan e le perplessità persino di quei berlusconiani che pure sono considerati vicini al «Capitano»: la preoccupazione è che l’unione non faccia la forza e che i due partiti perdano dei pezzi.
Come in un effetto domino, l’area moderata azzurra non smette di guardare a soluzioni di centro, a quell’idea di «partito di Draghi senza Draghi» che anima i contatti con Calenda e Renzi. Sono gli effetti di una spaccatura che è figlia di una diversa visione sulla strategia futura, oltre che delle aspirazioni dei singoli. Già era stato difficile accettare una coalizione imperniata sul primato di Salvini.
Un’altra rivoluzione copernicana, con l’avvento di Giorgia Meloni alla leadership del centrodestra, trasformerebbe ulteriormente il profilo di un rassemblement che per venticinque anni è stato a trazione berlusconiana.
E FdI scorge nei dati di Verona, dove il suo candidato non avrebbe ottenuto il risultato preventivato, il tentativo di colpire proprio la Meloni.
I risultati delle urne (qui la diretta) chiariranno il quadro.
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