Claudia Del Frate per www.corriere.it
Un Paese con una forte economia manifatturiera, alle prese con un inarrestabile invecchiamento della popolazione e un debito pubblico da record, si trova a fare i conti anche con una pesante carenza di manodopera per il suo tessuto produttivo.
I connotati potrebbero essere quelli dell’Italia e invece in questo caso si parla del Giappone e delle misure varate dal governo per fronteggiare il rischio del declino economico e demografico. Il governo del premier Shinzo Abe ha varato alcuni giorni fa un pacchetto di misure per favorire l’arrivo in Giappone di lavoratori stranieri dai paesi del Sud Est asiatico. Una misura in controtendenza con il vento «sovranista» che soffia su Europa e Stati Uniti.
L’offerta a 11 paesi
Il pacchetto di misure (sono 126 in tutto) punta a un obiettivo dichiarato: garantire l’immigrazione di almeno 340.000 lavoratori nell’arco di cinque anni e la loro integrazione nella società nipponica. La decisione si è resa indispensabile soprattutto per coprire le carenze di manodopera in alcuni settori: costruzioni, sanità, ma anche alta tecnologia; per il piano sono stati messi a bilancio 6 miliardi di yen, che corrispondono a circa 50 milioni di euro.
Verranno spesi per l’integrazione dei nuovi arrivati in circa 100 comunità (grandi città ma anche centri minori) , l’assistenza burocratica, corsi di lingua, assistenza medica e scolastica per i figli degli immigrati. L’offerta è rivolta a 11 paesi dell’area ma si prevede che i flussi più forti possano arrivare da Filippine, Vietnam e Myanmar.
I casi di Germania e Ungheria
Il pacchetto varato dal governo di Tokyo tenta di dare una risposta a un problema che sta diventando assillante per l’intera società occidentale. La Germania, la scorsa estate ha adottato misure analoghe: lì le dimensioni dell’economia hanno richiesto di pianificare l’arrivo addirittura di 1.600.000 lavoratori stranieri; discorso opposto riguarda invece l’Ungheria: anche qui delocalizzazioni e sbarco di multinazionali hanno fatto rialzare la richiesta di manodopera ma la politica di chiusura delle frontiere di Viktor Orbàn ha costretto a soluzioni diverse.
La nuova legge sul lavoro consente di alzare il numero delle ore straordinarie di lavoro fino a 400 l’anno, misura che ha scatenato le proteste di piazza a Budapest e in altre località del paese magiaro.