Gustavo Bialetti per “la Verità”
Ma quant'era bravo Giovanni Tria. Per mesi unico argine ai Nuovi Barbari, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ansiosi di sfondare il bilancio dello Stato per mantenere le loro promesse elettorali. L' uomo della Provvidenza messo al Tesoro da Sergio Mattarella e dal gran capo della Bce, Mario Draghi.
Il professore che sembra l'altro professore, il predecessore Pier Carlo Padoan. Il ministro che non pratica quella gran brutta cosa che è lo spoil system e che ha confermato quasi tutti i «tecnici» di area Pd o bankitaliota. Poi succede che nel Def accetta di indicare il rapporto deficit-Pil per il 2019 al 2,4% e allora ecco che Tria diventa improvvisamente un imbelle attaccato alla poltrona, uno che esegue senza dignità gli ordini dei due vicepremier.
Ieri in prima pagina sulla Stampa, il giornale che forse più di tutti si è dato la missione di lottare contro il populismo, il sovranismo e le fake news, il ministro dell' Economia si è beccato in sostanza dell' impiegatuccio. Alberto Mingardi, direttore dell' Istituto Bruno Leoni, ha scritto: «Una settimana in politica è un' eternità. In meno di una settimana, il ministro Tria è stato retrocesso da guardiano della stabilità delle finanze pubbliche a ragioniere di Di Maio e Salvini».
alberto mingardi vice presidente
A parte l'uso spregiativo del termine «ragioniere», si tratta di un riassunto abbastanza fedele di quanto è avvenuto in questi ultimi giorni sui giornaloni, dopo che Tria non solo non ha portato a casa l' 1,6% di deficit, ma non si è neppure dimesso. Dimissioni che non aveva mai né annunciato né minacciato, ma che erano state oggetto di illazioni tanto per giocherellare un po' con lo spread, sempre puntato alla tempia del governo gialloblù. Da professore a ragioniere per Tria il passo è stato breve. Ma sempre meglio «ragioniere» che cameriere di lorsignori.