Estratto dell'articolo di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani per “il Sole 24 Ore”
Un festival di Sanremo un poco meno banale del solito ha fatto da detonatore a una richiesta piuttosto perentoria di larga parte del centrodestra: si cambino subito i vertici Rai e si nominino persone vicine ai vincitori delle elezioni (si è parlato di creare una nuova egemonia culturale).
A molti sembra una richiesta normale, ritenendo scontato che il governo abbia il diritto di occupare la Rai con i suoi fedeli, quasi che il servizio pubblico sia un bottino di guerra da consegnare a chi, vinta la competizione elettorale, si trova a guidare il Paese
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La Costituzione, la legislazione e il contratto di servizio impongono di garantire l’autonomia gestionale ed editoriale della Rai, il cui compito fondamentale è di dar voce a tutte le opinioni presenti nella società, attraverso un’informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata.
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Tuttavia, la stessa legge, specie dopo le infauste riforme del 2004 e del 2015, sembra scritta proprio per indebolire tali garanzie. Il consiglio di amministrazione è di nomina quasi interamente politica e il mandato dei consiglieri è di soli tre anni, un tempo troppo breve per garantire una distanza da chi li ha scelti.
Quanto poi all’obbligo costituzionale che il consiglio di amministrazione «non sia espressione, diretta o indiretta, del potere esecutivo» e che la sua struttura «sia tale da garantirne l’obbiettività», la legge attribuisce al governo e alla maggioranza parlamentare un peso preponderante nella scelta dei consiglieri e soprattutto dell’amministratore delegato, l’organo di gestione dell’azione. Il testo unico prevede infatti che l’Ad sia nominato dal Cda su proposta dell’azionista (il governo), senza richiedere alcuna maggioranza qualificata e sia revocabile in qualsiasi momento, sempre a maggioranza semplice. Un amministratore delegato, dunque, espressione del potere esecutivo, inevitabilmente vicino alla maggioranza politica, sia nel momento genetico che durante l’esercizio del mandato.
Carlo Fuortes IN VERSIONE GIARDINIERE - MEME
Che fare? Certo non osiamo nemmeno invocare una “riforma della Rai”, fantasma che da decenni circola nei dibattiti politici e che quando ha superato la consistenza dell’ologramma, prendendo la forma di progetto di legge, magari poi approvato, ha prodotto risultati pessimi.
La speranza è che questa contraddizione arrivi finalmente sul tavolo della Corte costituzionale, magari grazie alla resistenza dell’attuale vertice nel caso di revoca.
Ed è una speranza a cui non sappiamo rinunciare. La questione infatti è seria e non poco: le regole con cui un Paese disciplina il servizio pubblico televisivo rivelano molto della salute della sua democrazia. Qui da princìpi costituzionali o sovranazionali come indipendenza, pluralismo e trasparenza, gemmano disposizioni di dettaglio non sempre coerenti. Materia appunto per i giudici di palazzo della Consulta.
CARLO FUORTES - AMADEUS - STEFANO COLETTA carlo fuortes foto di bacco fuortes mattarella