Riccardo Sorrentino per “Il Sole 24 Ore”
Aumentano le difficoltà per le aziende tedesche. Al punto che il prodotto interno lordo di questo trimestre potrebbe registrare crescita zero. L'indice Ifo di agosto, che misura il clima nelle imprese, è infatti stato pari a 106,3, il minimo da luglio 2013, in calo da 108 di luglio.
È un dato piuttosto cattivo, tenuto conto delle capacità dell'indice di segnalare l'andamento dell'attività economica. Gli analisti si aspettavano una flessione, ma credevano che si sarebbe fermata a quota 107. La variazione (leggermente) più consistente è stata inoltre registrata dalla componente delle aspettative che, per quanto meno "concreta" di quella sulla situazione corrente, si proietta sul futuro.
Tutti i settori, tranne le costruzioni, segnalano sofferenza. I venditori all'ingrosso sembrano particolarmente pessimisti, anche se è nel solo comparto delle vendite al dettaglio che il numero delle aziende che segnala una situazione "negativa" o prospettive "non favorevoli" ha sorpassato ad agosto il numero delle imprese che danno valutazioni opposte. La cosa sorprende un po': in questa fase la domanda domestica - spinta anche da un buon andamento di occupazione e salari - è al traino dell'attività economica. Un fenomeno confermato ieri anche da Klaus Wohlhabe, capoeconomista dell'Istituto Ifo.
Sono però le vendite all'estero a preoccupare. Pesano ovviamente le incertezze sulla crisi ucraina, citata da molte aziende: sono le imprese più legate alla Russia, ha così aggiunto Wohlhabe, a essere più pessimiste, anche se l'effetto è difficile da quantificare. Secondo l'istituto di statistica Destatis, le esportazioni verso la Russia - tra rallentamento dell'economia di Mosca e la crisi geopolitica - sono calate del 15% tra gennaio e maggio, prima quindi delle sanzioni di luglio. Al di là di questo fattore, si sta probabilmente manifestando ora, con un certo, ma consueto ritardo, un certo rallentamento della domanda proveniente da Stati Uniti e Cina.
L'Ifo esclude comunque una recessione tedesca. I dati di ieri spingeranno l'istituto a rivedere, e non poco, le previsioni per la crescita del 2014: il Pil potrà salire, ha detto Wohlhabe, dell'1,5% e non del 2% finora stimato. In questo terzo trimestre estivo, potrebbe però già registrarsi crescita zero, in ogni caso un miglioramento rispetto al -0,2% registrato in primavera.
L'Ifo ricorda anche che settori come quello della produzione di automobili e quello chimico stanno migliorando e che le costruzioni continuano a essere in buona forma. Anche se proprio ieri sono risultati in calo dell'11,9% a giugno, rispetto allo stesso mese del 2013, gli ordini del comparto dell'edilizia.
La flessione dell'indice Ifo, la quarta consecutiva, da maggio, non è l'unico segnale di stress dell'economia tedesca. La settimana scorsa l'indice Pmi della Markit, che similmente cerca di intercettare il livello corrente dell'attività economica, ha mostrato un leggero rallentamento. La produzione del settore manifatturiero - che è solo uno dei sottoindici dell'indicatore - è risultato in particolare ai minimi da 14 mesi, anche se continua a segnalare espansione.
Sono però in accelerazione - il livello è ai massimi da nove mesi - i nuovi ordini, la componente che più di altri disegna i contorni per il futuro. Più che la Russia e l'Ucraina, alcune aziende partecipanti al sondaggio hanno mostrato timori per l'introduzione del salario minimo nel 2015. I dati "veri" - gli hard data - rivelano intanto che gli ordini alle imprese sono stati in calo a maggio e a giugno, e hanno toccato i minimi da agosto 2013, anche se ha pesato l'assenza di alcune grosse commesse difficilmente ripetibili.
Il quadro complessiva sembra continuare a negare quelle prospettive di ripresa moderata ma costante che erano state formulate per la Germania solo qualche tempo fa, con incrementi del Pil stimati intorno al 2% per quest'anno e il prossimo.
Ora le attese sono meno brillanti. È inevitabile inoltre che il rallentamento tedesco pesi anche su tutta Eurolandia: da una parte la Germania fa comunque da traino a moltissime aziende esportatrici di semilavorati, dall'altra il riequilibrio tra centro e periferia richiederebbe prezzi tedeschi ben più alti di quelli spagnoli e italiani, mentre le distanze ora sono ridotte.
È anche vero però che la spinta della domanda interna, desiderata e voluta dall'attuale governo, spinge le importazioni e, in questo modo, tende a deprimere i tassi di crescita di un'economia che resta molto solida.