Federico Fubini per corriere.it
In cinque non fanno la popolazione dell’Italia, contano per un decimo di quella dell’Unione europea e un sesto del suo reddito. Eppure sono l’ostacolo più grande nella più grande delle tragedie.
Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia, in ordine di sprezzante intransigenza, sono emerse in queste settimane a Bruxelles come le grandi riduttrici: schierate a colpi di veti per rendere il più piccolo e inutile possibile ciò che va sotto il nome di Recovery Initiative, in realtà un arcipelago di programmi che dovrebbero formare la risposta europea alla più profonda e imprevedibile recessione in tempo di pace.
Non solo questi cinque Paesi riescono a contenere e sfilacciare i contorni di questo pacchetto per l’Unione europea che, ormai è chiaro, sarà un bel po’ sotto i mille miliardi. Tornano anche a scucire quanto già tessuto.
In questi giorni sono intenti a ridurre il celebrato programma di garanzie per 200 miliardi della Banca europea degli investimenti in un piano che in realtà ne vale appena cinque, in un’economia da 13 mila miliardi: esigono che le garanzie effettive della Bei (di fatto per 25 miliardi su 200 di investimenti) non possano essere intaccati che in minima parte.
DAVID SASSOLI URSULA VON DER LEYEN
Si può pensare che sia incredibilmente miope picconare la coesione e tenuta dell’Unione europea per cinque piccoli Paesi che, in media, devono all’export il 57% del loro reddito.
Specie in un mondo che ha già visto crollare gli scambi con Cina e Stati Uniti. Ciascuno sega il ramo su cui è seduto a proprio modo. Ma i risultati si vedono, uno dopo l’altro, nella Recovery Initiative che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen svelerà il 27 maggio – tre settimane in ritardo – per proporla ai leader nazionali. Questi poi per accordarsi avranno bisogno di almeno due vertici, di cui il primo il 18 giugno.
ursula von der leyen con il padre
I cinque Paesi nordici chiedono che il pacchetto europeo, nella proposta di von der Leyen, non superi i 350 miliardi di euro. Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro (con la comprensione di Belgio, Irlanda, Slovacchia e altri) propongono mille.
È inevitabile che la proposta di Bruxelles alla fine ne valga fra 700 e 800, in vista di nuovi probabili negoziati al ribasso fra governi il mese prossimo.
Ma è anche la composizione del pacchetto che farà discutere, perché la parte di trasferimenti a fondo perduto non supererà i 250 miliardi di euro; il resto saranno prestiti da rimborsare.
Di quei 250 miliardi, duecento dovrebbero essere versati in uno «Strumento di bilancio per la convergenza e la competitività» e distribuiti ai Paesi solo a certe condizioni: devono finanziare progetti sui grandi temi europei come l’ambiente o le nuove tecnologie e verranno erogati solo a patto che i governi beneficiari mettano in atto riforme indicate dalla Commissione.
ursula von der leyen incontra giuseppe conte a palazzo chigi 6
Con ogni probabilità non si tratterà di riduzioni del deficit, ma di misure sul sistema di istruzione, la burocrazia o la giustizia civile indicate nei rapporti di Bruxelles. È però previsto un altro pacchetto di «coesione» da 50 miliardi di erogazioni con meno vincoli.
C’è poi un ampliamento di InvestEU, meglio noto come «piano Juncker». È lì dentro che sarebbe inserito il cosiddetto «Solvency Support Instrument», quel che dovrebbe essere il fondo europeo per investimenti di capitale in aziende europee considerate ridotte dalla pandemia sull’orlo del fallimento.
L’idea iniziale era che valesse 250 miliardi, il lavorio dei cinque piccoli Paesi nazionalisti del Nord lo ha ridotto a 50 miliardi. Questo «strumento» in realtà da sarebbe formato garanzie della Bei per privati che entrano nel capitale di aziende di almeno 50 dipendenti definite «strategiche» per l’Europa grazie al loro prodotto o alla loro filiera. Infine ci sarà la parte di prestiti, a condizioni e scadenze ancora da negoziare con un’Olanda che rifiuta rimborsi troppo spalmati nel tempo.