Corrado Zunino per “la Repubblica"
Quello che avete letto nei 95 verbali sono tutte le decisioni prese dal 7 febbraio al 20 luglio». Agostino Miozzo tra dieci giorni sarà in pensione. L' ultimo impegno della sua vita impegnata è stato quello di coordinare il Comitato tecnico scientifico che sta gestendo l' emergenza Covid.
Miozzo, proviamo a dire tutto.
C' è un piano segreto approvato dal Comitato tecnico scientifico che ancora oggi non viene rivelato?
«Ha usato quell' aggettivo, segreto, Andrea Urbani, direttore generale del ministero della Salute. Ne è nato un cinema».
Quindi, che cosa avete secretato in questi cinque mesi e mezzo?
«Nulla, il Cts non ne aveva il potere. Abbiamo chiesto grande riservatezza quando in Via Vitorchiano sono arrivati, il 12 febbraio, i numeri della Fondazione Kessler. Un matematico intelligente come Stefano Merler aveva realizzato una proiezione sull' Italia dei dati cinesi, gli unici esistenti.
Quel lavoro, nello scenario peggiore, parlava di 600-800 mila contagiati se l' Italia non si fosse fermata. Il rapporto avrebbe gettato un Paese nel panico e, con una saggezza che rivendico, il Comitato ha chiesto di fare il possibile per non farlo arrivare alla stampa».
Esisteva un Piano pandemico generale al 7 febbraio, prima riunione del Cts?
«No, e questa è stata la grande debolezza del ministero della Salute.
Non esisteva una previsione di mascherine necessarie, posti letto da liberare. Soprattutto, non c' erano scorte. Il Paese partiva da zero e noi, da zero, dovevamo preparare in tutta fretta un Piano anti-Covid da utilizzare subito».
giuseppe conte roberto speranza
Oltre ai numeri da panico, cosa avete considerato riservato?
«Tutte le carte erano riservate, ma davamo conto del loro contenuto. Non stavamo tramando, ma provando a difendere un Paese da una malattia sconosciuta cui nessuno, neppure noi, era preparato.
Il piano lo abbiamo costruito giorno per giorno, era nei comunicati del ministero della Salute, della Protezione civile. Blocco dei voli, ricerca di mascherine, definizione tra cento errori di che cosa è contagioso e cosa no, strategia dei tamponi, comprensione dei dati.
E poi il provvedimento dell' aumento del 50% dei posti letto in Terapia intensiva e del 100% in Pneumologia. Lì c' è stata la svolta, abbiamo capito che la crisi poteva essere affrontata».
Cosa dobbiamo sapere ancora?
«È tutto pubblico, ora. Negli omissis ci sono solo nomi di aziende e un verbale che tocca il 41 bis. Ci siamo occupati anche di carceri».
Avete minacciato le dimissioni.
giuseppe conte agostino miozzo
«Mi sono reso conto che stavamo andando a sfracellarci. Avevo vissuto con Bertolaso il disastro dell' Aquila, non volevo ripeterlo. "O abbiamo una protezione per quello che facciamo o ci fermiamo". Serviva una legge per non far rischiare il carcere a chi firmava quei verbali. È arrivata: si potrà agire contro di noi solo in caso di grave colpa o dolo».
Volevate fermarvi anche per le lettere imperative del commissario Arcuri.
«Arcuri è un uomo veloce, operativo, abituato a comandare. Non è un uomo semplice. Gli abbiamo detto: "Fermati e spiegaci cosa ti serve". Con noi non bisogna schioccare le dita, ma confrontarsi».
Perché per settimane avete insistito nell' indicare i tamponi solo per chi aveva sintomi?
«Mancavano i reagenti, una di quelle cose che un Piano pandemico avrebbe dovuto prevedere. Limitare i tamponi era una scelta obbligata».
Non c' erano neppure le mascherine.
«Niente. Una Ffp2, una chirurgica. Da piangere. A metà marzo ho inventato le mascherine di comunità. Volevo preservare i dispositivi professionali per medici e infermieri e ho iniziato a dire: mettiamoci una fascia, una sciarpa, un foulard».
Alzano e Nembro erano polveriere: voi l' avevate capito, il governo non le ha fatte zone rosse.
«Sì, ma capisco Conte. Chiudere quell' area significava fermare un polmone economico del Paese. Forse avremmo salvato qualche vita, ma è facile sentenziare col senno di poi».
l'esercito consegna i banchi a codogno alzano e nembro3
Sulla scuola avete traballato: "È un problema, chiudete in Lombardia, nel resto del Paese non sappiamo".
«Mancavano letteratura ed esperienze. Sapevamo che fermarla significava dire addio all' anno».
ospedale pesenti fenaroli di alzano lombardo
Nel tempo avete preso uno spessore politico: le vostre scelte non erano più solo tecniche.
«Eravamo diventati il centro del Paese, dovevamo tener conto dell' impatto sociale. Dalle indicazioni di 26 esperti dipendeva il lavoro di milioni di persone. Trasporti, calcio, macelli, ristoranti, ombrelloni.
Abbiamo fatto sforzi ciclopici per far entrare la conoscenza scientifica in questioni di cui non ci eravamo mai occupati in vita».
La difficoltà più grande.
«La comunicazione, quella da fuori. È stata la prima emergenza mondiale governata dai social. Bastava che un influencer dicesse "il virus viene dalla Luna" e noi dovevamo rincorrere, smentire, accelerare».
Alla fine?
«Il Paese era nudo e noi abbiamo dovuto fare le cose all' italiana. Con il fiatone. Ma abbiamo realizzato un buon lavoro e abbiamo spento il telefonino a decine e decine di lobby, amici degli amici. Non ci siamo fatti influenzare dagli interessi, abbiamo agito per gli italiani».
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