Nicola Porro per “il Giornale”
Se tu obblighi un' azienda a scrivere, tra mille complicazioni, la causale per la quale assumere un lavoratore a tempo determinato per un annetto, cosa faranno quelle aziende? Trasformeranno tutti i lavori a tempo indeterminato o piuttosto inizieranno il circo delle sostituzioni, gettando alle ortiche esperienze e rapporti fatti dai propri collaboratori nei mesi in cui hanno lavorato?
Scusate la domanda retorica, a cui anche un bambino piccolo che abbia lavorato per qualche tempo sa dare una risposta corretta, e cioè la seconda. Eppure il governo gialloverde a luglio dell' anno scorso, facendo l' assurdo decreto dignità ha bloccato il mercato dei lavori a termine, dando nessun beneficio all' occupazione.
Nella sua seconda versione, quella giallorossa, le cose non vanno meglio. Si sono inventati il blocco dei licenziamenti, e il ministro ha detto che lo prorogherà con il prossimo decreto. Bravi, buona idea (lo diciamo ironicamente, a scanso di equivoci). Nel bimestre del lockdown sono diminuite del 47 per cento le cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Nonostante in molti abbiano chiuso per sempre baracca e burattini, crollo dei licenziamenti: è vietato.
Ma il medesimo bambino di prima, quello che sospettava la stupidità di ingessare il mercato del lavoro a tempo determinato, sa benissimo che se ad un' azienda togli clienti che non comprano, mantieni tasse da capogiro che non sposti, imponi protocolli sanitari kafkiani, e ogni giorno immetti dosi di paura sulla ricomparsa del virus, ebbene il solito bambino vi dice che quelle imprese affogheranno. Insieme ai loro dipendenti, certo.
Nessuno verrà licenziato dall' imprenditore, ma è l'impresa stessa che cesserà di esistere.
Il blocco dei licenziamenti è una misura economica da baluba (si può ancora dire?) o da sindacato degli Anni '70, quella della variabile indipendente. I politici possono dire che hanno obbligato le aziende a non licenziare, e se queste dovessero fallire, beh deve essere colpa degli imprenditori brutti e cattivi che si fanno i loro comodi.
Questi vivono nell' iperuranio. Certo una parte dell' Italia, detto senza acrimonia, quella meno produttiva ed illicenziabile in fondo se ne può fregare. Ma il resto pagherà un prezzo altissimo. Ne raccontiamo un' ultima che ha dell' inverosimile. Gli stessi geni che hanno legiferato rendendo impossibile il lavoro a termine, oggi hanno stabilito, che i datori di lavoro non possono terminare il loro contratto. Sì, avete letto bene. Funziona così.
Le aziende che avessero messo in cassa integrazione, durante la pandemia i propri tempi determinati, non possono licenziare i propri addetti a termine anche se il loro contratto fosse scaduto. Avete capito bene. Facciamo un esempio concreto.
Se l' azienda Rossi ha due dipendenti a termine che funzionano e che hanno lavorato anche in lockdown e il cui contratto scadesse il 31 luglio, sarebbe obbligato a farli fuori, per il vecchio decreto dignità. Nessuna eccezione; se li tenessero sarebbe sfruttamento del precariato. Se l' azienda Bianchi avendo invece perso fatturato durante la pandemia, avesse messo in Cig due dipendenti a termine di contratto il 31 luglio, sarebbe obbligata (non è facoltativo) a tenerseli anche dopo la scadenza.
Il divieto di licenziamento si impone per quelle imprese che hanno sofferto, mentre il divieto di proroga per quelle che hanno resistito. Solo un pianificatore, abituato ai Kolchoz può ragionare così. I risultati negativi purtroppo arriveranno più in là: e ci sarà sempre qualcuno che dirà che la colpa è del virus e non già delle scelte assurde di politica economica adottate. Michele Seghezzi, il più chiaro dei giuslavoristi, ci ricordava ieri «l' ingessamento più che prevedibile del mercato del lavoro con 1 milione di assunzioni in meno nei primi 4 mesi del 2020 rispetto al 2019, ingessamento che penalizza soprattutto i giovani che sono al loro primo ingresso nel mercato».