Estratto da repubblica.it
Professor Mario Monti, dal tema dell’immigrazione ai conti pubblici, la partita tra Italia ed Europa si fa dura. Lei è stato a Palazzo Chigi e alla Commissione europea. Sui flussi migratori, in particolare, che cosa può fare l’Italia?
«Dovrebbe puntare ad alleanze solide, da pari a pari, senza nervi a fior di pelle, con Francia e Germania. Creare con loro un clima di intesa responsabile per indirizzare l’Europa, in questo e altri campi. E non sbandierare, e possibilmente non avere, alleanze privilegiate con Paesi governati da leader nazionalisti come quelli di Ungheria e Polonia.
Quei governi restano nazionalisti - in particolare sulle migrazioni - anche nei confronti di una leader come Giorgia Meloni, con la quale avevano intessuto comunanza di visione quando anche lei era spiccatamente nazionalista. Ma Meloni non era ancora capo di governo di un grande Paese europeo. In questa veste le è proprio precluso - a differenza, per esempio, di Orban - perseguire il nazionalismo. A meno che sia disposta a recare gravi danni al suo Paese».
Lo dice mentre Meloni e Orban riaffermano assieme i valori della destra e chiedono una politica europea comune sull’immigrazione. Pensa davvero che Francia e Germania abbiano interesse a una politica comune su questo tema?
«Penso che, proprio a cominciare da Francia e Germania, andrebbero moltiplicati gli sforzi di persuasione, magari cambiando la chiave e il messaggio. Martellarli al suono di “Così lasciate sola l’Italia!” potrà far guadagnare voti in Italia, ma difficilmente sposterà le coscienze altrui. Oggi in Europa la politica deve farsi con la pedagogia in casa d’altri, ad esempio andando a Budapest, Varsavia, Vienna, Parigi e spiegare là, nei media, nelle università, nei loro parlamenti, in dibattiti popolari, quanto i loro Paesi avrebbero da guadagnare da un’efficace politica comune sulle migrazioni».
(...)
Non sarà che la “underdog” Meloni ha qualche motivo quando lamenta l’ostilità delle strutture della Commissione?
«Come in passato, anche oggi l’Italia ha un governo rispettato a Bruxelles. Ma è un governo composto anche da forze politiche e personalità per le quali il rispetto verso l’Europa è molto recente e intermittente. Questo determina a volte difficoltà di dialogo e qualche dubbio su quanto gli impegni assunti siano attendibili.
Consiglierei perciò ai nuovi rappresentanti dell’Italia di dismettere la postura mentale dei “pugni sul tavolo”, di negoziare tenacemente sulla sostanza, di ricordarsi che se ritengono davvero di aver subito un torto la via maestra è di denunciarlo alla Corte di giustizia europea. E, se vogliono seguire la logica del negoziare “a pacchetto”, che a volte è preziosa, occorre molta accortezza per evitare esiti rovinosi».
(...)
Al di là delle polemiche, ci sono le riforme. Quella del Patto di stabilità e di crescita, presentata dalla Commissione, non convince l’Italia. Anche qui, che cosa consiglia?
«Più il dibattito procede, più mi convinco di una cosa. Un nuovo Patto di stabilità e di crescita, più ancora che da regole minuziose che, come in passato, non verranno fatte rispettare, dovrebbe fondarsi su alcuni principi semplici, di buon senso economico, comprensibili ai cittadini.
E che portino ad una ragionevole disciplina di bilancio azzerando il balletto, un po’ patetico, che è ancora in corso tra i Paesi con radicata propensione al disavanzo e la Germania, la quale è ancora considerata da se stessa e dagli altri il campione della disciplina di bilancio, pur non essendolo più».
(...)