DA P. CHIGI E MINISTERO ATTACCO PESANTISSIMO, COLPISCE AL CUORE MAGISTRATURA
(ANSA) "La magistratura non ha alcuna voglia di alimentare lo scontro, ma quando il livello dello scontro si alza, il nostro silenzio sarebbe l'impacciato mutismo di chi non sa reagire con fermezza a una politica muscolare rivolta a un'istituzione di garanzia. Sarebbe un arretramento e noi non arretriamo quando si tratta di difendere i valori della Costituzione".Lo ha detto il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia, spiegando che invece la magistratura vuole discutere con il ministro del miglioramento della giustizia. (ANSA).
alfredo mantovano giorgia meloni
GIUSTIZIA: ANM, SOSPETTO CHE RIFORME SIANO SBANDIERATE PER PUNIRE TOGHE, CAMBIARE PASSO (Adnkronos) - "Il sospetto è che le riforme costituzionali siano sbandierate non perché si crede servano a migliorare il sistema, ma come risposta di punizione nei confronti della magistratura. Se questo è, io chiedo con rispetto e umiltà di cambiare passo". A sottolinearlo è il presidente del'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, intervenendo ai lavori del comitato direttivo centrale. Il ministro, ha ricordato, aveva assicurato che queste riforme "non sono in un orizzonte immediato" ma ora "ha detto che occorre accelerare sulla separazione carriere perché un giudice non è stato d'accordo con un pm". Noi "vogliamo discutere di riforme che sembrano utili e di quelle che utili non ci sembrano, non interferiamo", ha ribadito Santalucia. (Coc/Adnkronos)
ANM A MANTOVANO, INTERFERENZE? PERSA RAZIONALITÀ ISTITUZIONALE (ANSA) - "Anche il sottosegretario Mantovano, stimatissimo e stimabilissimo ex collega, parla di interferenze del giudiziario nella politica. Non ho ben compreso a cosa faccia riferimento, se il riferimento è ad un'indagine nei confronti di un ministro e ad un ordine di formulazione dell'imputazione, in quelle parole non rinvengo traccia di razionalità istituzionale". E' uno dei passaggi dell'intervento del presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia al Comitato direttivo centrale
Liana Milella per repubblica.it
È un Giuseppe Santalucia durissimo, da presidente dell’Anm, davanti al suo Comitato direttivo centrale, quello che si stupisce degli attacchi di palazzo Chigi e di via Arenula arrivati attraverso “fonti anonime”. E reagisce, con voce pacata, non certo da tribuno, ma in modo netto. “Non meglio precisate fonti governative ci accusano di essere schierati politicamente. È un’accusa gravissima, che colpisce al cuore la magistratura, perché un magistrato fazioso, che si schiera politicamente, non è un magistrato. È una critica pesantissima che respingiamo”.
alfredo mantovano giorgia meloni
Ma ecco di seguito le parole di Santalucia, interrotte da numerosi applausi. “La magistratura come istituzione nell’esercizio sue funzioni viene accusata di interferenza. È un attacco pesantissimo, insidioso, soprattutto perché anonimo. Pensavo che sarebbe arrivata una smentita, invece dopo la prima nota di palazzo Chigi il giorno dopo ne arrivano due dal ministero della Giustizia che intervengono sui fatti che avevano fornito l’occasione alla nota di agenzia del giorno prima”. Stiamo parlando della reazione di palazzo Chigi sul doppio caso Santanchè e Delmastro.
LE MANI SULLA GIUSTIZIA
Giuseppe Salvaggiulo per la Stampa
Come all’epoca dell’azione disciplinare dei giudici milanesi del caso Uss, le reazioni più imbarazzate all’escalation di Palazzo Chigi sono venute dai magistrati più conservatori. Le toghe della stessa corrente – Magistratura Indipendente – del sottosegretario Alfredo Mantovano. Del cui stile faticano a trovare traccia nella velina tonitruante uscita l’altra sera da Palazzo Chigi. «Meno proclami e più moderazione», sibila il segretario della corrente, Angelo Piraino. Anche perché allo stesso gruppo appartengono i procuratori di Roma e Milano, Lo Voi e Viola. Il che dà la misura del clima che si è creato «berlusconizzando» il rapporto governo-magistratura.
alfredo mantovano giorgia meloni
Attorno alla premier si è maturata la convinzione che ci sia «un’orchestra rossa» a suonare la grancassa giudiziaria.
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Meglio giocare d’anticipo, dunque. Mettendo sul tavolo la pistola carica di una «soluzione finale» che passa dal controllo di Corte Costituzionale, Csm e commissioni parlamentari di inchiesta, dotate di poteri analoghi a quelli giudiziari, da agitare alla bisogna contro oppositori politici e pm sgraditi (vedi caso David Rossi).
L’escalation ha origini lontane. Giorgia Meloni, che i giornali li legge, sapeva dall’inizio di novembre che Daniela Santanchè era sotto indagine a Milano per i pasticci societari. E non aveva nascosto la sua irritazione alla ministra, per non esserne stata informata tempestivamente.
Quanto al caso romano, più che di complotto si potrebbe parlare di autocomplotto. Il pasticcio è stato creato tutto e solo dal duo Delmastro-Donzelli. La Procura, riluttante, s’è mossa solo dopo gli esposti di Verdi e Pd. Né avrebbe potuto non farlo. L’indagine è stata tutt’altro che pirotecnica: iscrizione non immediata, accertamenti discreti, nessun atto investigativo invasivo.
«Cinquanta e cinquanta», rispondeva un paio di settimane fa un esponente governativo alla richiesta di un pronostico sull’esito. A dispetto della favorevole richiesta di archiviazione della Procura, lo stesso sottosegretario commentava circospetto: «Vediamo, vediamo». Troppo sdrucciolevoli i parametri giuridici della vicenda: perimetro del segreto e consapevolezza di violarlo.
La strategia difensiva di Delmastro era stata concordata con il sottosegretario Mantovano e supportata dall’avvocato penalista Giuseppe Valentino, a sua volta ex parlamentare e sottosegretario alla giustizia, presidente della fondazione Alleanza Nazionale e nei mesi scorsi candidato al Csm, prima di finire impallinato da fuoco amico per un’indagine di mafia. La strategia ricalcava la linea Maginot tracciata in Parlamento da Nordio: parafrasando Boskov, «segreto è quando ministro fischia».
La Procura di Roma l’ha incenerita: non è il ministro, ma la legge, a stabilire che cosa è segreto. E tuttavia aveva salvato Delmastro, perché «poteva non sapere» dell’esistenza del segreto. Una richiesta di archiviazione figlia della riforma Cartabia, che richiede standard probatori più alti per rinviare a giudizio.
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giorgia meloni e mateusz morawiecki alla conferenza di ecr a varsavia
Se, come anche Nordio auspica, il caso Delmastro arriverà alla Consulta, troverà ad attenderlo a braccia aperte una nuova Corte. Con massicci innesti di giudici «patrioti». Uno scenario polacco – controllo governativo su Csm e Corte Costituzionale, clava disciplinare sui giudici non allineati – sanzionato dall’Ue come contrario allo stato di diritto e ancora l’altro giorno definito «preoccupante». Nelle stesse ore, la premier Meloni a Varsavia si diceva «ammirata» dal collega Morawiecki.
giorgia meloni e mateusz morawiecki a varsavia GIORGIA MELONI CARLO NORDIO