Fabio Martini per “la Stampa”
Nei mesi scorsi, non appena l'odissea dei marò si era placata, Paolo Gentiloni aveva insistito per organizzare in India una missione politica, che da ieri si è materializzata, segnando così il ritorno dell'Italia in questo grande Paese, dieci anni dopo la visita di Romano Prodi. Oggi il presidente del Consiglio incontrerà le autorità indiane, ma ieri il premier non ha perso i fili con l'Italia.
In particolare si è informato sull' intervento di Matteo Renzi alla Conferenza Pd di Portici, sui toni usati verso il governo e sulle parole calibrate per "riesumare" un' alleanza elettorale con le forze a sinistra del Partito democratico.
Dopo il trittico imposto da Matteo Renzi - otto fiducie-sfiducia a Visco-forfait dei ministri renziani in Cdm - Paolo Gentiloni si è ritrovato "spostato" dal suo stesso partito a giocare in prima persona una partita e a farlo su un campo che, di sua iniziativa, non avrebbe mai scelto: quello della competizione per la premiership.
Certo, tutto è mediato da un argomentare indiretto, mai polemico. Nel suo intervento alla Conferenza di Portici, Gentiloni è stato attento a non recriminare sulla plateale dissociazione del Pd dalla scelta del Governatore Ignazio Visco, ma nelle proposte si è espresso con un lessico esplicito, inusuale per un personaggio prudente come lui. Ha detto che il Pd è un partito di sinistra e per vincere e diventare il perno possibile di un futuro governo, è ora di aprire sul fianco sinistro. Fino all' Mdp di Bersani e D' Alema? Il capo del governo non l' ha detto così chiaramente, ma il senso dell' apertura è stato subito chiaro: sono io il "garante" di un'alleanza più larga.
Alla luce di quel è accaduto nelle ore successive, è come se Gentiloni avesse dettato la linea e Renzi l'avesse sposata. Il leader del Pd infatti ha chiuso la Conferenza di Portici con una brusca apertura a sinistra. Certo, i tanti chiosatori del Renzi-pensiero si sono esercitati nella dietrologia - lo fa ora, per non farlo dopo la batosta siciliana - ma l' apertura è agli atti e ora il cerino torna nelle mani di Mdp.
Renzi ha aggiunto un'altra suggestione: se il governo metterà la fiducia sullo Ius soli, i senatori del Pd la voteranno. In questo sposando il rilancio che il ministro dell' Interno Marco Minniti aveva fatto sempre a Portici due giorni fa, dicendo: «Lo Ius soli è una legge di principi e un grande partito di fronte a una legge di principi, si batte, decide e convince. L'unica cosa che un grande partito non fa è rinunciare e noi non rinunceremo!».
E così, in una volta sola Renzi ha sposato - e provato ad assorbire - due candidati premier oramai in competizione, sia di tra loro che con lui. Ma nel sì alla fiducia sullo Ius soli, Gentiloni dall' India non ha fatto una grinza: «Se dopo il passaggio della legge di Stabilità al Senato, ci saranno le condizioni politiche, il governo è pronto a mettere la fiducia».
Una road map che a palazzo Chigi avevano programmato: a partire dal 23 novembre, il Senato si sarà quasi certamente liberato della legge di Stabilità e a quel punto, se le condizioni lo consentiranno, Gentiloni potrebbe mettere la fiducia sullo ius soli. E approvarlo. Perché quel testo è stato già approvato dalla Camera.
Ma a fine novembre tutto potrebbe essere di nuovo cambiato: Renzi potrebbe aver cambiato idea sull' apertura a sinistra e quel punto potrebbe suggerire ad Alfano di fare il "lavoro sporco", sbarrando la strada alla legge. Di mezzo ci sono le elezioni siciliane del 5 novembre, oramai elette a discrimine epocale tra "prima" e "dopo". Un personaggio di frontiera come l' ex ministro del Pd Giuseppe Fioroni non condivide la linea del "golpe" per rovesciare Renzi: «A pochi mesi dalle elezioni sarebbe anche controproducente per il Pd.
Serve un' alleanza più larga, ma non con quelli che fecero fallire l' Unione di Prodi: gli italiani se li ricordano».