1 - LA MOSSA DEL MINISTRO GARLAND «AUTORIZZAI IO LA PERQUISIZIONE»
Viviana Mazza per il “Corriere della Sera”
Dopo tre giorni di silenzio il ministro della Giustizia degli Stati Uniti, Merrick Garland, ha chiesto ieri al tribunale del Southern District of Florida di rendere pubblico il mandato di perquisizione della residenza di Donald Trump al quale diversi media stanno cercando di avere accesso.
Una scelta inconsueta - questi documenti restano di solito confidenziali - ma Garland ha sottolineato che il primo a parlarne è stato lo stesso Trump e che vi è un «sostanziale interesse pubblico».
perquisizione dell fbi a mar a lago immagini aeree 3
Con un discorso breve e misurato, senza rispondere a domande, ma guardando dritto negli occhi degli spettatori, Garland ha cercato di replicare con la trasparenza alle accuse di Trump. Ha dichiarato di avere autorizzato personalmente la perquisizione e di «non aver preso la decisione con leggerezza», poiché il suo dipartimento preferisce «metodi meno intrusivi».
I repubblicani hanno definito il «raid a Mar-a-Lago» un'azione politica contro Trump, mentre la portavoce della Casa Bianca ha dichiarato che l'attuale presidente ha appreso la notizia dai media, come è giusto che sia: «Biden ha detto sin dall'inizio che il dipartimento della Giustizia deve condurre le sue indagini in modo indipendente».
donald trump si dirige verso l ufficio del procuratore generale
Garland ha ribadito il principio dell'applicazione imparziale della legge, spiegando che «l'adesione allo stato di diritto è il principio fondamentale del Dipartimento di Giustizia e della nostra democrazia». Ha concluso elogiando i suoi funzionari e quelli dell'Fbi, «patrioti» che difendono il Paese al «prezzo di enormi sacrifici personali» e che non meritano accuse infondate e minacce di morte.
I media americani hanno ricostruito i diversi passi tentati dagli inquirenti prima avviare la perquisizione senza precedenti dell'abitazione di un ex presidente degli Stati Uniti. A farla scattare è stata la convinzione che a Mar-a-Lago vi fossero documenti classificati che Trump non aveva ancora consegnato, «sensibili» per motivi di sicurezza nazionale, secondo il New York Times .
A gennaio i funzionari del National Archives (gli archivi nazionali dove per legge vanno depositati tutti gli atti di ogni presidenza) avevano già recuperato 15 casse di materiali, anche classificati, portati via dalla Casa Bianca. In primavera, il dipartimento di Giustizia aveva ordinato la consegna di carte che riteneva non fossero state restituite. A giugno nella residenza si era presentato Jay Bratt, capo del controspionaggio presso il dipartimento, con un mandato per un'ispezione.
manifestanti pro trump a brayton
L'ex presidente si fermò a salutarlo e assicurò di non avere carte top secret. Ma secondo Newswee k e il Wall Street Journal, almeno un informatore nella sua cerchia avrebbe riferito all'Fbi che l'ex presidente mentiva. Non ne è nota l'identità né quali prove abbia offerto.
Tra coloro che sono stati interrogati dagli inquirenti ci sono Molly Michael, assistente di Trump allo Studio Ovale e poi a Mar-a-Lago, e Derek Lyons, ex segretario fino al 18 dicembre 2020. Garland ha sottolineato che Trump ha già una copia del mandato (e la lista di ciò che è stato requisito). Il tycoon ha il diritto di opporsi alla divulgazione, ma toccherà comunque al tribunale decidere.
2 - WRAY, L'ALTRO «NEMICO PUBBLICO» CHE DONALD PROVÒ A CACCIARE PERCHÉ SI RIFIUTÒ DI COLPIRE BIDEN
Viviana Mazza per il “Corriere della Sera”
«Licenziate Wray». Lo scrisse via sms Donald Trump Jr, il figlio del presidente, due giorni dopo la sconfitta elettorale di suo padre nel novembre 2020, come ricordava ieri il New York Times . Ma già per mesi, il licenziamento di Christopher Wray, il direttore dell'Fbi che proprio Trump aveva nominato tre anni prima, era stato ripetutamente discusso dall'allora presidente e dai suoi consiglieri.
L'avvocato repubblicano newyorkese Wray, che aveva lavorato al dipartimento della Giustizia sotto George W. Bush, non era considerato abbastanza fedele. L'ultima goccia: aveva rifiutato - scrisse il Washington Post nell'autunno 2020 - di dare «l'aiuto che l'Fbi fornì nel 2016».
Trump avrebbe voluto che Wray convocasse una conferenza stampa per informare gli americani che il rivale Joe Biden e suo figlio Hunter erano indagati, proprio come il suo predecessore James Comey fece 11 giorni prima della sfida del 2016 contro la sua rivale di allora, Hillary Clinton. Comey annunciò al Congresso la riapertura delle indagini su Hillary per l'uso di un server privato per le email quand'era segretaria di Stato.
Frustrato da Wray, Trump cercò in effetti di licenziarlo (come aveva fatto alla fine con Comey per «scarsa lealtà» e per aver rifiutato di criticare l'indagine dell'Fbi sul Russiagate del 2016). Ma si fermò perché l'allora ministro della Giustizia William Barr minacciò di dimettersi.
Ora, dopo la perquisizione di Mar-a-Lago, accanto all'attuale ministro della Giustizia Merrick Garland, Wray è l'altro bersaglio degli attacchi di un presidente che nei quattro anni del suo mandato ha tentato di piegare il sistema della giustizia al suo volere e oggi accusa il suo successore di esserci riuscito - benché non ci siano prove di un coinvolgimento di Biden, che non ha mai pubblicamente invocato l'arresto di Trump.
Wray ha denunciato le minacce «deplorevoli e pericolose» aumentate nei giorni scorsi nei confronti dell'Fbi e del dipartimento della Giustizia. E ieri a Cincinnati, in Ohio, un uomo armato ha tentato di fare irruzione in un ufficio dell'Fbi: Ricky Shiffer, 42 anni, è stato ucciso nella sparatoria con gli agenti.
Da Twitter sono riemersi post in cui dichiarava che era presente all'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 ma negava ogni colpa dei sostenitori di Trump. È la punta dell'iceberg di una sfiducia che può trasformarsi in rabbia verso le istituzioni, condivisa da molti elettori repubblicani, secondo i sondaggi, e supportata da membri del partito al Congresso.
Quando l'ex stratega di Trump, Steve Bannon, paragona l'Fbi alla Gestapo, non è in realtà il primo a farlo. Nel 1945 il presidente Harry Truman scrisse: «Non vogliamo né una Gestapo né una polizia segreta. L'Fbi va in quella direzione». Erano gli anni di J. Edgar Hoover, il primo e decennale direttore del «bureau», che faceva monitorare chiunque percepisse come dissidente radicale, ricattava deputati e senatori. Dopo la sua morte nel 1972, l'Fbi fu riformata e cercò di rifarsi un'immagine più professionale e apolitica, ed era riuscita negli anni a conquistarsi il rispetto di entrambi i partiti e di molti americani. Ma Trump tenta di convincere i seguaci che nulla è cambiato.
donald trump 2 i documenti di donald trump 1