Matteo Pucciarelli per "la Repubblica"
«Non ci ho dormito diverse notti, sono state giornate di grande sofferenza, alla fine mi sono detto: prima del partito viene il bene del Paese», dice il ministro ai Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà. Dopo 12 anni lascia il M5S.
Quando ha maturato la scelta?
«La sera del 20 luglio, dopo il non voto sulla fiducia. Una giornata di confronto tesissimo, dove ho assistito in presa diretta alla fine del governo Draghi. Quando sono rimasto solo nella sala del governo mi sono detto che dovevo lasciare il M5S, quella giornata non poteva rappresentare me e i miei valori. Mi sono confrontato con persone di cui ho fiducia, non volevo fosse una cosa a caldo. Alla fine mi sono sentito un estraneo nel mio stesso gruppo e ho preso la decisione».
Non c'è una correlazione con il mantenimento del tetto dei due mandati?
«Nessuna, avevo già scelto».
Ha scritto che nel far cadere Draghi "hanno prevalso altre logiche". Quali?
«Da una parte una certa inesperienza politica, o ingenuità del M5S. Dall'altra nel centrodestra c'è stato grande cinismo. Ma sono convinto che oggi i cittadini, senza guardare la classica distinzione tra populismo, sovranismo, destra o sinistra, penseranno al senso di responsabilità. A chi lo ha avuto e a chi no. Tutte le persone che ho incontrato in questi giorni sono preoccupate per quel che può succedere a settembre o ottobre, volevano stabilità: parlo di amministratori locali, artigiani, piccola e media impresa. Tutti si domandano perché è caduto il governo e non lo comprendono».
Ripensando agli ultimi mesi: Conte voleva scientemente arrivare alla caduta del governo?
«Ci sono stati momenti convulsi, di sicuro le persone che gli stavano vicino non gli hanno fatto capire le conseguenze che ci sarebbero state».
Con Conte avete avuto modo di parlare del suo addio?
«Abbiamo parlato un'ora questa mattina (ieri, ndr ). Lo ringrazio per il lavoro fatto nel Conte 2, in un periodo difficilissimo, però le nostre visioni non sono mai state allineate nell'ultima fase. Le mie critiche non l'ho mai nascoste, ho diffuso un documento per spiegare quel che avremmo perso se fosse caduto il governo. C'è rispetto e lealtà tra noi, ma aver innescato questa crisi è stato un errore molto grave».
Se lei avesse lasciato il M5S prima del voto al Senato, il governo sarebbe durato di più?
luigi di maio foto di bacco (2)
«Ho votato la fiducia sul dl aiuti alla Camera, mentre nei mesi precedenti ho sempre cercato il dialogo tra le forze politiche, coinvolgendo anche le opposizioni, per cercare di diminuire le tensioni. Poi tutto è precipitato velocemente».
Ma quindi aveva ragione Di Maio a fare la scissione, nel tentativo di offrire una copertura alla maggioranza?
«Per me ha sbagliato perché in quella maniera ha portato via dal M5S una buona parte delle persone che volevano dare continuità al governo. Si sono prodotte ulteriori difficoltà al nostro interno, è mancato un equilibrio».
Si ritiene uno "zombie", come quelli descritti oggi da Grillo, contagiati dalla vecchia politica?
«Assolutamente no, ho lavorato per tre anni da ministro mettendo in secondo piano le mie necessità, la famiglia, per il bene del mio Paese cercando il dialogo e non l'individualismo, tentando di sminare ogni pericolo possibile nei vari passaggi parlamentari. Lavoro enorme di cui sono orgoglioso».
Dicono che si candiderà col Pd. È vero?
«Ora sono concentrato sui lavori parlamentari della prossima settimana, l'ultima effettiva per Camera e Senato. Sul decreto aiuti ci sono ancora 14 miliardi stanziati. Abbiamo provvedimenti importanti da approvare, sia in Cdm che nelle capigruppo ho chiesto di poter concludere la legislatura in maniera ordinata, chiudendo più provvedimenti possibili e i decreti legislativi legati alle riforme necessarie per avere i fondi del Pnrr. Poi cercherò di poter comprendere il da farsi parlando con la mia famiglia. Penso occorra aiutare il Paese a non perdere il lavoro fatto, continuando ad avere una visione internazionale, di progresso e diritti civili. E per questo serve un impegno da parte delle persone».
luigi di maio all ambasciata americana per la festa dell indipendenza
Lei compreso quindi.
«Ripeto, per non consegnare il Paese alle destre serve l'impegno di tutti, il campo è quello delle forze progressiste».
La fine del fronte progressista è responsabilità solo del M5S?
«C'è uno spartiacque preciso ed è rappresentato dal mancato voto di fiducia al Senato. Anche in quell'occasione ho fatto di tutto per evitare che ciò avvenisse. Le forze progressiste erano state chiare, l'orizzonte sarebbe stato il voto anticipato e il rischio di consegnare il Paese alle destre. Quindi rispetto a questa vicenda la responsabilità è molto precisa».
Senza il M5S però la vittoria del centrodestra sembra sicura, pensa che sia tutto irrecuperabile?
«In questo momento vedo molto complicato recuperare il rapporto che avevamo costruito in questi due anni, proprio perché tutto è stato messo in discussione senza un senso preciso e senza un punto di caduta da parte del M5S. Sono convinto che ci sarà una polarizzazione nel voto, tra chi credeva che Draghi dovesse andare avanti e chi ci ha portati al voto. Questo potrebbe cambiare radicalmente i sondaggi che danno per scontata la vittoria del centrodestra».
LUIGI DI MAIO ARRIVA ALLA CAMERA PER LA PRIMA ASSEMBLEA DI INSIEME PER IL FUTURO LUIGI DI MAIO AL SENATO LUIGI DI MAIO ARRIVA ALLA CAMERA quando di maio attaccava i voltagabbana LUIGI DI MAIO AL SENATO