Marcello Sorgi per “la Stampa”
giuseppe conte dario franceschini
Sono usciti alla chetichella 13 dal palazzone del Collegio Romano, alle spalle del Pantheon, in cui ha sede il ministero dei Beni culturali. La piccola pattuglia dei Responsabili, guidata dall'ex-presidente della Regione Lazio Renata Polverini, radici a destra con Fini e da tempo traghettata in Forza Italia, aveva preso impegno solenne di tenere la bocca chiusa. Ma come succede sempre, qualcuno ha parlato: «Questa sì, è la volta buona». E in effetti, dopo gli abboccamenti falliti delle scorse settimane con il premier Conte, che avevano provocato l'ira di Matteo Renzi e il suo sostanziale passaggio all'opposizione, si sono trovati davanti a Dario Franceschini.
luigi di maio dario franceschini
Quel Franceschini, che del governo è una sorta di amministratore delegato e anche il più testardo sostenitore dell'alleanza giallorossa, per il gruppetto di deputati e senatori di centrodestra stufi di stare all'opposizione e alla mercé di Salvini rappresentava una grande occasione. Franceschini è l'ultimo esponente di rilievo di una tradizione democristiana sopravvissuta alle tre Repubbliche italiane.
Si vede da come parla: s'ispira a Moro, che non diceva mai né di sì né di no. La telefonata con cui ha invitato nel suo ufficio di ministro i Responsabili, era soltanto per uno scambio di idee. Ma quelli, convocati in sede istituzionale, e da un uomo maniacalmente cauto come il capo delegazione del Pd al governo, hanno capito subito che il gioco si fa serio. Si tratta di una partita molto dura, specie da quando, all'ombra dell'emergenza coronavirus, il tentativo condotto in tandem dai due Mattei, Renzi e Salvini, è arrivato al Quirinale, dopo l'incontro rappacificatore di mercoledì tra il Presidente Mattarella e il Capitano leghista.
Un altro ribaltone? Perché al di là delle difficoltà evidenti - "no" di Pd, 5 stelle e Fratelli d'Italia all'iniziativa del "governissimo", fondata sulla necessità di affrontare con un esecutivo sorretto da un largo appoggio parlamentare la recessione e la crisi economica in arrivo, il movimento in corso riguarda le due incerte alleanze - meglio sarebbe definirle per quel che sono, minoranze - che si confrontano nel Parlamento esausto di metà legislatura.. quella giallo-rossa, privata ormai concretamente dell'appoggio di Renzi, con l'eccezione delle votazioni unitarie di questi giorni di emergenza anti-virus; e quella, assai pe-nitente, di centrodestra, a cui mancano una cinquantina di voti alla Camera e poco più di una ventina al Senato, che potrebbero venire dallo stesso leader di Italia viva, se capace di un altro ribaltone, o da una scissione grillina, se gli Stati Generali del Movimento, al momento rinviati, non dovessero trovare una sintesi tra l'a-la parlamentare schierata a favore del governo e della coalizione con il Pd, e l'altra che ancora rimpiange l'asse con Salvini.
I dubbi su Italia viva
dario franceschini paola de micheli graziano delrio dario franceschini
Nello studio di Franceschini si è parlato essenzialmente di questo. Con il ministro attento a non entrare in dettagli che avrebbero potuto mette-re in forse l'avvicinamento guardingo della pattuglia dei Responsabili, tra l'altro divisi al loro interno, all'universo giallo-rosso. E Polverini e i suoi curiosi di capire fino a che punto l'uomo chiave del governo era disposto a spin-gersi. Di fronte a Conte, nei precedenti colloqui, la perplessità maggiore dei Responsabili rispetto all'ipotesi di rompere gli indugi, allontanarsi dai partiti che li hanno eletti, formare gruppi parlamentari alla Camera e al Senato e prendere posto in maggioranza, era una sola: che ci veniamo a fare se Renzi resta con un piede dentro e uno fuori dal governo? Saremmo aggiuntivi e non indispensabili, alla fine serviremmo solo a rendere scarica la pistola di Matteo puntata su Palazzo Chigi e a prolungare una legislatura che, se interrotta, vedrebbe elezioni anticipate con una molto probabile vittoria del centrodestra.
roberto gualtieri e dario franceschini all'abbazia di contigliano
dario franceschini e nicola zingaretti alla finestra dell'abbazia di contigliano 5
Anche davanti a Franceschini la renitenza dei Responsabili si è manifestata in questi termini. Né è servita a diradarla la descrizione che il ministro, con il suo linguaggio avvezzo a continue divagazioni e a interrogativi che rimangono sospesi nel vuoto, ha fatto dei rapporti reali tra Renzi, il Pd e i 5 stelle. Con Zingaretti e il Pd, una scissione, pur dolorosa, che doveva essere consensuale, ha portato a un forte deterioramento dei rapporti.
Con Di Maio e adesso con Crimi, reggente addetto all'ordinaria amministrazione di qualcosa che ordinario non è, come la crisi di M5S, il rapporto non è neppure cominciato. E poi, Matteo, si sa, è impaziente, lo dicono anche quelli più vicini a lui: ha capito che a sinistra non sfonda e ha cominciato a guardare a destra.
Il giro di nomine e la Rai
Dietro le quinte c'è la grande trattativa, che parte dalle quattrocento nomine importanti negli enti di Stato e approda all'inevitabile rimpasto che seguirebbe alla nascita della nuova maggioranza per tenere in vita il Conte-bis. Su questo, stando al resoconto dei Responsabili, impressioni più che certezze, voci dal sen fuggite, Franceschini, più che prudente, è rimasto muto, limitandosi a delineare un largo orizzonte con un cenno della mano destra, e a sospirare, è tutto per aria. Ma nei ragionamenti successivi all'incontro, le ambizioni dei Responsabili hanno fatto presto a correre: se Renzi alla fine esce dal governo, si liberano due poltrone di ministri e quattro o cinque di vicemini-stri e sottosegretari.
MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME BUGO E MORGAN
E alle viste c'è il cambio di metà legislatura delle presidenze delle commissioni alla Camera e al Senato. Se anche le nomine in Eni, Enel, Finmeccanica (oggi Leonardo), Poste e così via, fino alle Autorità indipendenti, dovessero andare come sembra verso una riconferma (l'incertezza riguarda la posizione pentastellata a favore di un ricambio totale), restano un sacco di posti da assegnare nei consigli d'amministrazione. Ultima, ma non in ordine d'importanza, c'è la Rai. Per la quale da tempo, in mancanza di un vero ricambio, a partire dalle direzioni dei tg, corrispondente al ribaltone che ha portato al governo giallo-rosso, il Pd manifesta la sua insoddisfazione, mirata a un azzeramento dei vertici, che potrebbe partire con l'inserimento della partita sulla tv di Stato in quella più generale delle nomine.
GIUSEPPE CONTE AL DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
Un banchetto luculliano di potere in tutte le salse, allineato sul tavolo della trattativa come un buffet. Roba da far venire l'acquolina in bocca ai Responsabili, che trascinano le loro giornate consumando le suole delle scarpe sui marmi del Transatlantico della Camera e tra le boiseries della Sala Garibaldi del Senato. E adesso che la trattativa è partita, davanti al GranVisir del governo, devono valutare se sono in grado di mettersi insieme una volta e per tutte per fare un passo avanti.