Monica Guerzoni per corriere.it
A Palazzo Chigi nessuno si aspettava una simile escalation dei toni da parte di Giuseppe Conte. Nessuno prevedeva che Mario Draghi, tornato da Napoli ancora commosso per le lacrime dei piccoli profughi ucraini incontrati al rione Sanità, a sera sarebbe salito di corsa al Quirinale. E adesso la situazione sta nelle parole di un ministro, angosciato per le sorti del governo: «Non so se Conte potrà rimettere il dentifricio nel tubetto».
A portare l’ex capo dell’esecutivo a un passo dallo strappo irreparabile, allarmando le cancellerie europee, è stata la mossa astuta di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, unico partito di opposizione, ha scelto di muoversi in asse con il governo. Ha presentato un ordine del giorno sulle spese militari costruito sulle parole di Draghi e si è accontentata che il testo fosse accolto dal governo, senza chiedere che venisse messo ai voti in commissione.
giuseppe conte minaccia di far cadere il governo draghi sulle spese militari
In questo modo FdI ha tolto ai 5 Stelle la possibilità di bocciare l’aumento delle spese militari, per poi votare in Aula la fiducia al decreto Ucraina. Una manovra parlamentare che ha scompaginato i piani di Conte e lo ha spinto a irrigidire la posizione con Draghi. Al punto che Enrico Letta ha voluto condividere con i suoi ministri e anche con il premier la «preoccupazione altissima» del Pd per la nuova strategia del Movimento.
Nel faccia a faccia a Chigi, la totale assenza di feeling tra il premier e il suo predecessore è esplosa come mai prima. E adesso il sospetto che aleggia nelle stanze della presidenza del Consiglio è che il leader del M5S abbia deciso di portare il Paese al voto anticipato. Magari non subito, perché con la guerra di Putin che fa strage di civili uno strappo così radicale non sarebbe compreso dagli elettori, ma al più tardi nel mese di giugno.
L’incontro-scontro è stato così serrato e teso che, dopo 90 minuti, l’ex presidente della Bce ha fatto fatica a spiegare ai suoi cosa abbia in mente Conte. Anzi, pare proprio che il premier non lo abbia compreso e che non abbia nemmeno chiaro se il M5S voterà o meno il Documento di economia e finanza. E questo perché Draghi appare orientato a quantificare nel Def l’impegno economico per gli armamenti. «Per arrivare al 2% mancano 15 miliardi, un picco notevole», ha avvertito Conte. È stato il momento più aspro del «duello», perché il premier, a proposito di coerenza, ha messo sul tavolo gli stanziamenti del passato e ha snocciolato a Conte i numeri del bilancio della Difesa quando a Chigi c’era lui: «Nel 2018 si registravano circa 21 miliardi, mentre nel 2021 se ne registravano 24,6...». Insomma, i governi gialloverde e giallorosso hanno aumentato le spese militari del 17%, assai più di quelli precedenti e successivi. Com’è finita? Per dirla con Conte, «ognuno è rimasto sulle sue posizioni».
giuseppe conte dopo l incontro con mario draghi 1
Forte della votazione che lo ha riconfermato leader della più grande forza del Parlamento l’avvocato non vuole fare passi indietro. Insiste su emergenza economica, caro-bollette e rischio inflazione e sostiene che «Draghi non ha dato risposte chiare, anche perché a escluso uno scostamento di bilancio». Il problema è che il premier non arretra di un millimetro. Per il capo dell’esecutivo l’aumento tendenziale fino al 2% del Pil delle spese militari, nel mezzo di una guerra sanguinosa che vede l’Italia schierata con l’Ucraina, non è negoziabile. E se una forza di governo lo disattende, rompe il patto che tiene insieme la maggioranza. Ma una cosa, a quanto assicurano a Palazzo Chigi, è certa: non sarà Draghi a gettare la spugna. Non è salito al Quirinale per dire al capo dello Stato che è pronto a dimettersi, perché l’ora è grave e «questo è il tempo della responsabilità».
STRAPPO DI CONTE SULLE SPESE MILITARI
Monica Guerzoni per corriere.it
Se si mettono in discussione gli impegni assunti viene meno il patto che tiene in piedi la maggioranza». Così Mario Draghi dopo l’incontro con Giuseppe Conte sull’aumento delle spese per la Difesa, finito così male che il premier ha ritenuto necessario salire al Quirinale e riferire a caldo, a Sergio Mattarella, quanto a rischio sia il destino del governo in un momento tragico per l’intero Occidente.
Si è aperta la crisi? A sentire Conte, apparso alle nove e mezzo della sera sugli schermi di DiMartedì , «il M5S non ha mai parlato di crisi di governo» e non vuole mettere in difficoltà Draghi davanti agli Usa e alla Ue. Perché allora il premier è salito al Colle? Perché, a sentire Conte, «ha il diritto di informare il presidente della Repubblica». Insomma, in diretta su La7 il leader del Movimento ha buttato acqua sull’incendio da lui provocato.
rocco casalino e giuseppe conte
Se il premier ha deciso improvvisamente di recarsi al Colle poche ore dopo il rientro da Napoli, dove era andato a siglare il patto per ripianare il bilancio della città, è perché Conte tiene il punto e ripete che l’Italia «ha altre priorità». Per Draghi invece il nostro Paese deve continuare a onorare i patti siglati nel 2014 in sede Nato, a maggior ragione con una guerra sanguinosa alle porte dell’Europa. «Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil», ha detto Draghi a Conte, il quale insisteva nel chiedergli di allungare i tempi fino al 2028, o persino al 2030. Cioè sei anni in più rispetto alla dead line del 2024.
Oggi mercoledì il decreto Ucraina arriva in Aula al Senato e l’interrogativo che scuote la maggioranza è cosa faranno i 5 Stelle, se e quando Draghi porrà la fiducia. Conte chiederà ai suoi di votarla, o si metterà fuori dal governo? «Noi lo voteremo. Non vogliamo aprire una crisi perché noi siamo il partito di maggioranza relativa», assicura il presidente del M5S, che però rivendica «il diritto di essere ascoltati».
mario draghi sergio mattarella
A spaccare l’alleanza è stato un emendamento presentato da Fratelli d’Italia nelle commissioni Esteri e Difesa di Palazzo Madama, che ricalca quello votato giorni fa alla Camera anche dai 5 Stelle. Poi Conte ci ha ripensato, ha maturato la convinzione che il caro bollette venga prima degli impegni internazionali e ha ingaggiato il braccio di ferro. A nulla è valsa la mediazione del Pd e assai poco ha potuto, nonostante l’impegno, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà. Il vertice di due giorni fa con i capigruppo è andato a vuoto e la decisione del governo di accogliere l’ordine del giorno di FdI, senza che il M5S avesse la possibilità di bocciarlo in commissione, ha fatto saltare i nervi a Conte.
La giornata di Draghi era iniziata a Napoli, dove il premier ha firmato con il sindaco Gaetano Manfredi l’impegno che destina al Comune un miliardo e 231 milioni di euro in vent’anni per risanare i conti. Il Patto per Napoli, ha detto Draghi ricordando che il Pnrr destina al Sud il 40% delle sue risorse, «coincide con il programma di investimenti più significativo nella storia recente del Mezzogiorno». Poi una visita al rione Sanità, dove Draghi si è commosso incontrando i piccoli profughi dell’Ucraina ospitati dal parroco di Santa Maria, don Antonio Loffredo. I momenti di tensione tra la polizia e qualche decina di manifestanti (disoccupati e pacifisti antagonisti) non hanno guastato la visita, finita con una pizza assieme a Manfredi e al presidente della Regione, Vincenzo De Luca.