Carlo Bertini per “la Stampa”
Le primarie del Pd si dovrebbero tenere il 19 febbraio, ma lo scontro sulla data del congresso, ancora non risolto, può condurre ad uno show down. Se sabato franasse tutto in assemblea (magari dopo uno dei due voti sullo statuto andato storto), a quel punto Enrico Letta non avrebbe altro da fare che lasciare la palla ai delegati.
Obbligatoriamente la stessa assemblea sarebbe chiamata o a sciogliersi subito, facendo restare in carica la presidente Valentina Cuppi e il tesoriere Walter Verini; o a eleggere un segretario reggente, un traghettatore fino al congresso che si svolgerebbe non prima di aprile. Insomma il caos è dietro l'angolo in un partito che cala ogni settimana nei sondaggi, tanto da far temere a molti il rischio di un precipizio al 10%.
Ma lo scontro sulla data nasconde un nodo politico di prima grandezza: il bersaglio è la candidatura di Elly Schlein, ambientalista, paladina dei diritti, outsider molto quotata, secondo alcuni sondaggisti in grado di sbaragliare gli altri concorrenti. Pur essendo in rampa di lancio, sulla sua candidatura alla leadership pende una spada di Damocle: gli interessi opposti delle correnti dem. Sabato l'Assemblea nazionale deve varare due modifiche allo Statuto. Bisogna eliminare la regola che impedisce a chi prende la tessera all'ultimo minuto (e non è iscritto al Pd da mesi prima del congresso) di votare i candidati nei circoli e tanto meno di candidarsi a fare il leader.
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E Schlein ancora non è iscritta, vorrebbe farlo dopo aver preso parte attivamente alla fase Costituente, che non gradisce abbia tempi stretti, per evitare di dare un'immagine di intrusa dell'ultim'ora. Inutile dire che ai riformisti che sostengono il suo potenziale rivale Stefano Bonaccini - ex renziani, ex Ds e dirigenti di area cattolico-democratica - non fa piacere agevolare la corsa di una candidata così insidiosa.
Ma bisogna poi togliere dallo Statuto anche la norma che vieta di svolgere un congresso che duri meno di quattro mesi e mezzo. E la sinistra di Orlando e Provenzano, che vuole tempi distesi per la Fase costituente, altrimenti poco credibile, specie in piena sessione di bilancio e con Natale di mezzo, fatica a digerire una modifica per accelerare proprio il timing oggetto della discordia.
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Peccato che ogni modifica statutaria richieda la maggioranza di due terzi dei mille delegati, già difficile da raggiungere normalmente e impossibile in assenza di un accordo blindato tra le correnti sulla data delle primarie, accordo che ancora non c'è «Il nodo come è chiaro è Schlein», ammette un dirigente con voce in capitolo.
Ma non solo: un altro tema congressuale sono le regionali: nel Lazio si voterà il 12 febbraio e forse anche in Lombardia. Ora, malgrado i dem ritengano Alessio D'Amato un buon nome per la regione, la sfida con Fabio Rampelli, probabile candidato del centrodestra unito, potrebbe risultare ardua. Così come quella in Lombardia di Pierfrancesco Majorino contro Moratti e Fontana. Più d'uno nel Pd si interroga se sia un buon viatico fare le primarie la domenica dopo un'eventuale doppia sconfitta.
Così come la sinistra non gradisce che con un percorso strozzato della fase di apertura all'esterno, non entreranno più nel Pd i compagni di Art.1, Bersani e Speranza. Per non dire della questione principe: malgrado Dario Franceschini difenda le correnti come «elemento di forza», sono in molti a chiedersi se anche il comitato congressuale e il comitato Costituente che andranno formati in Direzione la prossima settimana saranno lottizzati col manuale Cencelli. «Se si fa la fase costituente ci vuole un Comitato con personalità di alto profilo», osserva uno dei big del partito, «e anche il comitato per il congresso dovrà dare segno della novità».