Davide Lessi per “La Stampa”
giorgia meloni enrico letta foto di bacco
In vista dei ballottaggi le parole d'ordine sono due: indecisi e delusi. La caccia è iniziata, durerà una dozzina di giorni. Solo recuperando il voto di questi elettori si potranno invertire pronostici e sondaggi. La partita a Torino, Roma e Trieste (solo per citare i capoluoghi di regione al voto) non è chiusa. E per capire cosa succederà, forse vale la pena analizzare bene cosa è accaduto nel primo turno.
A partire da quel dato della (non) affluenza: il 54,6%, un record negativo con una partecipazione «uniformemente bassa», per citare l'Istituto Cattaneo, nelle grandi città.
Nord-Sud, divario azzerato
«Mentre nelle politiche e nelle Europee il Nord risulta più partecipativo del Sud, nelle comunali questa differenza si è quasi del tutto annullata», spiega il direttore dell'Istituto di studi e ricerche bolognese Salvatore Vassallo.
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Che argomenta: «È come se, in quest' epoca di larghe intese, si fosse sviluppata una percezione di scarsa rilevanza dell'amministrazione comunale». L'ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari non osava troppo quando ieri, intervistato su queste colonne, sosteneva che i «primi cittadini non contano più nulla». La frattura centro-periferia E Vassallo concorda anche con la seconda intuizione del filosofo veneto: «Non bisogna illudersi che questo voto consacri il centrosinistra vincente in tutta Italia».
Perché se è vero che il Pd di Enrico Letta è primo partito nelle grandi città (Roma esclusa - dove i dem sono dietro alla lista Calenda e a Fdi), lo è altrettanto che nei centri medi-piccoli l'ago della bilancia è spostato ancora verso destra. Lo spiega da Trieste Rado Fonda, direttore di ricerca di Swg. «Al di là dei grossi capoluoghi dove Meloni, Salvini e Berlusconi scontano le divisioni della coalizione nella difficoltà di scegliere i candidati, nel resto di Italia emerge un quadro che rispecchia maggiormente il valore reale dei partiti secondo i sondaggi attuali, con un centrodestra lievemente avanti rispetto al centrosinistra».
Con un partito, Fratelli d'Italia, l'unico della coalizione all'opposizione del governo Draghi, capace di attrarre i voti anche dai leghisti "duri e puri": un exploit che permette a Meloni di superare Salvini a Torino, Trieste, Bologna e Roma. Il voto dei giovani Sempre secondo Swg al centrosinistra va riconosciuto un merito nelle grandi città: quello di aver saputo parlare ai più.
«Il Pd, con le liste collegate, è tendenzialmente più attento alle dinamiche europee», spiega ancora Fonda. Non è un caso allora che sia Stefano Lo Russo a Torino (con il 52,6 dei voti della classe di età 18-34 anni) che Beppe Sala a Milano (con il 71,35) siano di gran lunga i più votati gli under 35. Il sindaco uscente del capoluogo lombardo ha anche un altro merito, per Swg, l'aver convinto durante il suo mandato l'elettorato femminile: il 20% in più di donne ha votato per lui rispetto alle elezioni del 2016.
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Non solo. Sala sembra convincere soprattutto la fascia della popolazione che ha avuto accesso a un'istruzione migliore: due terzi dei lauerati i ha scelto il candidato di centrosinistra, mentre Luca Bernardo è stato votato dai meno scolarizzati. I casi di Torino e Napoli Ma l'analisi dei flussi può aiutarci a capire cosa sta succedendo nel panorama politico.
«C'è un caso Lega a Torino dove il Carroccio ha "tradito" il candidato di centrodestra», dice a tarda sera il direttore del Cattaneo Vassallo. E le tabelle lo spiegano: se alle europee del 2019 aveva raccolto il 26,9%, alle Comunali di domenica e lunedì si è fermato al 15,9%. Dove sono finiti questi voti? Per il 4,2% degli aventi diritto nell'astensione, altri verso il M5S (0.7%) e il Pd (0.9%). Non trascurabile il travaso verso FdI.
Il "ritorno" dei voti grillini Dall'altra parte, nel centrosinistra, Stefano Lo Russo riesce a essere in linea con il risultato delle europee (19,8%) facendo entrare una piccola quota di elettori che nella competizione di tre anni fa votarono Grillo. Un fenomeno, quello del "ritorno" dei voti dal M5S al Pd, registrato anche a Napoli. Lì la grande vittoria di Gaetano Manfredi è stata alimentata da un potente afflusso di voti dall'ampio bacino del M5S. Gli elettori pentastallati alle europee erano il 15,5% del corpo elettorale: una quota si è persa nell'astensione (2,25) ma il grosso (11,8%) si è riversato proprio sul candidato di centrosinistra. L'onda grillina, cinque anni fa cavalcata da Chiara Appendino e Virginia Raggi, si è fatta risacca. Ma quei voti, adesso, fanno gola a molti.