DAL PONTE DELLE SPIE AGLI HACKER, LA GUERRA FREDDA NON È MAI FINITA (NON CONVIENE A NESSUNO) - 70 ANNI DI SPIONAGGIO TRA CIA E KGB, DALLA BAIA DEI PORCI AD ANNA LA ROSSA. IL CELEBRE GESTO DI VADIM BAKATIN, NOMINATO CAPO DEL KGB NEL 1991 DOPO IL GOLPE D’AGOSTO, CHE SI PRESENTÒ ALL’AMBASCIATA AMERICANA CON UNA PIANTINA CHE MAPPAVA TUTTE LE CIMICI POSTE NEI MURI AL MOMENTO DELLA COSTRUZIONE…

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PUTIN KGB PUTIN KGB

1. DAL PONTE DELLE SPIE ALLA GUERRA DIGITALE

Paolo Valentino per il Corriere della Sera

 

Le prove decisive che inchiodarono Aldrich Ames le trovarono nel bidone della spazzatura dietro casa sua. Era il 1994 e da quasi un decennio l’uomo che guidava il controspionaggio nella cruciale sezione «sovietica» della Cia aveva passato ai russi ogni possibile documento top-secret, compresi i nomi di almeno 10 talpe che lavoravano per gli americani dentro l’Urss. I suoi servigi, Ames li aveva offerti recandosi personalmente all’ambasciata sovietica di Washington.

 

Era stato un po’ più complicato per Adolf Tolkhacev, l’ingegnere elettronico che lavorava in un istituto militare aeronautico a Mosca, agganciare gli americani. Per mesi, aveva disseminato pizzini nelle auto di diplomatici statunitensi di stanza nella capitale sovietica. Ma nessuno lo aveva preso sul serio.

conferenza di yalta conferenza di yalta

 

Quando lo fecero, scoprirono una miniera: fu Tolkhacev a rivelare che i radar dell’Urss non potevano tracciare i missili Cruise quando volavano a bassa quota. Tra il 1979 e il 1985 la Cia versò a Tolkhacev più di un milione di dollari, ma soprattutto gli regalò centinaia di dischi dei Led Zeppelin, Genesis, Clash e Police, di cui il figlio era appassionato. Fu probabilmente proprio Ames a scoprirlo, decretandone la condanna a morte.

 

kgb servizi segreti russi kgb servizi segreti russi

Era fatto soprattutto di cose fisiche, lo spionaggio al tempo della Guerra fredda. Era il mondo senza smartphone. Invece c’erano talpe, agenti e assassini. Le spie scambiate sopra i ponti. Vite doppie e triple. Barbe finte e cimici. Valigie col doppio fondo e fotocamere miniaturizzate e armadi con le stazioni radio. C’erano agenti in sonno per decenni, vite banali ed anonime, pronti a essere attivati in ogni momento. C’erano perfino gli agenti Romeo, frutto della mente creativa dello spymaster tedesco-orientale Markus Wolf, autentici sciupafemmine del socialismo reale, specializzati nel far innamorare le segretarie dei ministeri di Bonn.

 

Gli oggetti del desiderio, dall’una e dall’altra parte della Cortina di ferro, erano cose materiali: documenti cartacei e microfilm e cassette. Almeno fin quando funzionò, Mosca fece leva sul fascino residuo dell’ideologia comunista. Fu così per il Manhattan Project, quello che portò alla costruzione della prima bomba atomica, i cui segreti furono svelati ai sovietici da una rete di scienziati e tecnici tutti motivati politicamente, da Klaus Fuchs a Bruno Pontecorvo e più tardi a Julius Rosenberg.

 

OBAMA CIA OBAMA CIA

Ma già alla fine degli anni Sessanta, era solo per soldi che il Kgb e compagnia bella riuscivano a manovrare le loro spie. Sullo sfondo del grande scontro ideologico, la Cia montava le sue campagne all’estero: finanziava i partiti anti-comunisti nelle elezioni italiane del 1948, addestrava i ribelli anti-castristi che sbarcarono senza successo nella Baia dei Porci a Cuba nel 1961, orchestrava il golpe contro Allende del 1973 in Cile.

 

E contava spesso sul proprio vantaggio tecnologico; come nel 1974, quando investì oltre 800 milioni di dollari sul Progetto Azorian, una missione per recuperare codici di trasmissione e tecnologia nucleare da un sottomarino sovietico sul fondo dell’Oceano Pacifico.

 

HACKER HACKER

Ma era sempre una guerra fatta di cose concrete: come il tunnel segreto, che negli Anni Ottanta l’Fbi e la Nsa scavarono sulla Wisconsin Avenue, a partire dal giardino di una villetta di Georgetown, proprio di fronte all’edificio dell’ambasciata sovietica (oggi russa) di Washington: serviva a intercettare le comunicazioni dei diplomatici di Mosca.

 

Dall’altra parte, rimane celebre il gesto (unico, irripetibile e quasi surreale con il senno di poi) di Vadim Bakatin, uno degli uomini della perestrojka, il quale, nominato capo del Kgb nel 1991 dopo il golpe d’agosto, si presentò all’ambasciata americana con una piantina che mappava tutte le cimici poste nei muri al momento della costruzione dagli operai russi «istruiti» dall’agenzia: «Questa può interessarvi», disse laconico.

 

Oggi, domina l’immaterialità della rete, la guerra cibernetica che lascia tracce labili e raramente offre pistole fumanti. Che ci sia stata una manina russa nelle elezioni americane è certo. Ma vaghi restano i contorni, ambigui gli obiettivi. È sempre stato un mondo di ombre, quello dell’intelligence. Ma dietro le ombre oggi ci sono la realtà virtuale, gli avatar, gli algoritmi. Solo le contromisure non cambiano: sanzioni, espulsioni. Su questo, la grammatica dei rapporti fra Mosca e Washington è ferma alla Guerra fredda.

 

 

2. DALLE TRAME DEL KGB AD ANNA LA ROSSA

Arturo Zampaglione per ‘la Repubblica’

 

HACKERS HACKERS

«Le accuse americane sono false», contrattacca il portavoce di Vladimir Putin, definendo «illegali» le misure adottate dalla Casa Bianca. «Ma a questo punto – aggiunge – non abbiamo alternative». Come dire? All’espulsione dei 35 diplomatici russi sospettati di spionaggio, il Cremlino risponderà con la cacciata da Mosca di altrettanti diplomatici del Dipartimento di stato. Così, sullo sfondo del più grave episodio di hackeraggio politico della storia, ricomincerà una guerra tra spie con un copione degno di John Le Carré.

 

Nei suoi bestseller e nei film di spionaggio degli anni Sessanta, così come nella realtà di quel periodo, il mondo della Cia e del Kgb era costellato di talpe, trappole, omicidi, intercettazioni, microspie, e poi arresti e scambi di prigionieri tra le due ex-superpotenze. Ma anche in seguito non sono mancate battaglie epiche: come dimenticare i tentativi degli Usa di costruire un tunnel sotto all’ambasciata russa, tra Georgetown e la Cattedrale, per poterne monitorarne di nascosto l’attività? O la predisposizione di sistemi sofisticati di ascolto durante i lavori per quello che doveva essere il nuovo edificio della ambasciata americana a Mosca?

HACKER HACKER

 

«Anche se in modo meno appariscente, la battaglia tra le due centrali di 007 non è mai finita», spiega Joe Brennner, ex-direttore del controspionaggio Usa. E mille episodi degli ultimi anni lo confermano. Nel 1996, ad esempio, ci furono due espulsioni di americani dalla Russia, seguite da altre due da Washington.

 

Cinque anni dopo, nonostante i tentativi di mediazione tra Colin Powell e il suo collega russo Ivanov, gli Usa espulsero 50 diplomatici in odore di spionaggio, e Mosca rispose per le rime. Si parlò del ritorno di un clima di guerra fredda, e certamente le relazioni tra i due paesi militarmente più forti del mondo si sono andate via via deteriorando.

 

PUTIN E OBAMA PUTIN E OBAMA

Nel giugno 2010 l’Fbi mise a nudo l’“Illegals program”, come venne definito, cioè un network di spie che operavano indipendentemente dalla protezione diplomatica a New York e dintorni. Dieci persone vennero arrestate, tra cui Anna Chapman, detta Anna la Rossa: che poi fu restituita agli agenti russi con un classico scambio di prigionieri. La vicenda servì di ispirazione a Joe Weisberg, un ex-agente della Cia, per la sceneggiatura della fortunata serie televisiva “The Americans” sugli 007 del nuovo millennio.

 

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