Paolo Bracalini per “il Giornale”
Quando il sismografo di Massimo D' Alema prevede delle scosse c' è poco da stare tranquilli, perché spesso ci azzecca. Nel 2009, governo Berlusconi, l' ex segretario dei Ds evocò delle imminenti turbolenze in arrivo («nella vicenda italiana potranno avvenire delle scosse» disse rispondendo ad un domanda su un possibile piano per rovesciare l' allora premier) e pochi giorni dopo, con un' incredibile tempismo che fu subito interpretato come un filo diretto tra D' Alema e le procure, si scatenò da Bari la vicenda D' Addario, filone giudiziario che contribuì non poco al logoramento dell' esecutivo di centrodestra.
Da tempo, però, anche i renziani temono una scossa giudiziaria che possa travolgerli, e con l'inchiesta sul Giglio magico che arriva fino all' uscio di casa Renzi (il padre, il fedelissimo Lotti), il timore sembra prendere finalmente corpo. E chi poteva prevederlo? Naturalmente il solito D' Alema.
Già in tempi non sospetti, nel 2015, quindi nella fase ancora crescente della luna renziana, l'ex lider Maximo ragionava sui tempi lunghi e vedeva nubi all'orizzonte per Renzi, in quel momento apparentemente inaffondabile. Certo, la preveggenza dalemiana non poteva spingersi a indovinare le dimissioni in seguito ad un referendum allora neppure in programma, ma la tenaglia giudiziaria attorno al segretario Pd e alla sua cerchia stretta sì. Ed è proprio la voce che nell' estate di due anni fa aveva raccolto il Foglio, in un retroscena firmato dal direttore Claudio Cerasa.
«Alcuni ministri raccontano che Massimo D' Alema, da qualche tempo, sostiene che il governo non cadrà per uno sgambetto del Parlamento, per un giochino delle minoranze, per un complotto delle opposizioni ma cadrà per mano giudiziaria, e il ragionamento fatto in privato dall' ex presidente del Consiglio è arrivato anche al ministero di Giustizia, terra di Andrea Orlando» (che per un ulteriore scherzo del destino ora Renzi si ritrova come avversario al congresso Pd, insieme a Michele Emiliano, manco a dirlo un magistrato).
renzi dalema fassina civati gioco dello schiaffo
Anche alcuni osservatori filo-renziani hanno immaginato una tempesta giudiziaria in arrivo sul leader Pd, come ha fatto Claudio Velardi - ex consigliere proprio di D' Alema - in una intervista tempo fa («Per il sistema, Renzi è peggio di Berlusconi, infatti i magistrati lo stanno già puntando. Negli ultimi vent'anni la magistratura si è abituata a primeggiare sulla politica e non intende rinunciare al proprio primato»).
La lista dei focolai giudiziari si è allungata mese dopo mese, dall'inchiesta sui finanziamenti della coop Cpl Concordia (che tirava in mezzo Lotti), allo scandalo Etruria (Boschi family), alla bancarotta di papà Renzi per la vicenda della «Chil post Srl» (archiviato), poi l'inchiesta Tempa Rossa che costò le dimissioni per la ministra Guidi, l'arresto del sindaco Pd di Lodi molto vicino ai vertici renziani del partito. Ma il colpi più pesanti sono arrivati dopo l'uscita di Renzi da Palazzo Chigi: il caso Consip, la condanna dell' ex alleato Denis Verdini. La risposta di Renzi è sempre stata: «Complotto dei pm?
Ma de che, piena fiducia nei magistrati».
Questa la posizione formale, ma i retroscena raccontano invece dei timori renziani per una crociata delle toghe (una parte) contro di lui, ravvisata in vari segnali, tra gli attacchi del presidente dell' Anm Piercamillo Davigo e la campagna di Md contro la riforma costituzionale. Il redivivo Avanti, storica testata socialista, arriva a tracciare un parallelismo tra Renzi e la fine di Craxi. Paragone che, per tornare all' inizio, D' Alema non condividerebbe. Ma per un motivo che nulla c' entra con le procure: «Craxi era di sinistra, Renzi no».