Davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulla morte di Giulio Regeni, il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, si presenta e ribadisce un concetto già espresso in altre occasioni: «Riteniamo necessario coinvolgere costantemente al più alto livello le autorità del Cairo per la ricerca della verità sul ricercatore ucciso».
Ecco, in tal senso «è fuorviante credere che avere un nostro ambasciatore al Cairo significhi non perseguire la verità e viceversa è fuorviante pensare che ritirarlo sia necessario per arrivare alla verità». «Tutto il governo comprende il dolore della famiglia Regeni» che «è legittimo e comprensibile e deve essere una spinta». Tuttavia, insiste il ministro, «l'Italia continuerà ad avere un ambasciatore al Cairo».
E allora la presenza di un diplomatico in Egitto, continua l'inquilino della Farnesina, «rientra nella strategia» di un esecutivo, quello italiano, che punta ad aiutare anche chi è ancora lì, come Patrick Zacky. E a proposito dell'affaire Regeni rivendica di «aver fatto riprendere i contatti tra le procure». Il che si è verificato anche grazie «all'azione del corpo diplomatico».
Ma proprio su questo punto il presidente della Commissione Regeni, Erasmo Palazzotto, critica il ministro degli Esteri: «Quello che manca è una strategia complessiva. Abbiamo puntato tutto sulla riapertura della cooperazione giudiziaria, il cui primo incontro ha dato risultati insoddisfacenti. Si può aspettare, ma ci sarà un momento in cui il governo sarà costretto a decidere».
A questo punto i parlamentari della Commissione puntano il dito sulla vendita di armamenti dall'Italia all'Egitto. Critiche che Di Maio respinge: «Non credo - replica - che questo infici la ricerca della verità per Giulio e tanto meno che possa essere una leva per ottenerla». Dunque, conclude, «solo un partenariato lungimirante ancorché critico ci permetterà di dare sostanza al nostro ostinato impegno per la verità».
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