Francesco Bei per “la Repubblica”
L' intesa sulla riforma costituzionale è a un passo. Il momento della svolta è arrivato mercoledì sera, quando nell' ufficio di Renzi a palazzo Chigi sono saliti in gran segreto il ministro Boschi, il capogruppo Pd al Senato Luigi Zanda e la presidente della commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro. Portavano un messaggio di allarme e una richiesta precisa. Seduti davanti alla sua scrivania, Zanda e Finocchiaro hanno descritto la situazione al premier senza edulcorare la realtà: «Matteo, devi fare un' offerta alla minoranza del partito. Altrimenti stavolta rischiamo davvero che salti tutto». In piedi dietro di loro, Maria Elena Boschi annuiva: «Ascoltali, purtroppo è così».
vignetta FINOCCHIARO RENZI BARALDI
Renzi, che alle strette ragiona come un politico e sa distinguere una sfida da una roulette russa, li ha guardati negli occhi e ha capito: «Va bene. Ditemi cosa posso fare ». È a questo punto che Anna Finocchiaro - da relatrice del testo ne conosce ogni piega più nascosta - ha abbassato la voce, si è avvicinata ancora di più al tavolo e ha spiegato quanto aveva concordato prima della riunione con Boschi e Zanda: «Devi accettare l' idea del listino. Ci abbiamo riflettuto e pensiamo che il problema dell' articolo 2 possa essere aggirato. Senza toccare quell' articolo, possiamo inserire la norma sul listino in altri due articoli che la Camera ha modificato».
Si tratta dell' articolo 10 della riforma, quello sul procedimento legislativo, oppure dell' articolo 35, che disciplina i limiti agli emolumenti dei consiglieri regionali. Entrambi ritoccati da Montecitorio e non suscettibili della blindatura data dalla "doppia lettura conforme" delle due Camere (come invece l' articolo 2, anche se la minoranza dem contesta questa interpretazione). L' idea insomma è quella di introdurre una forma "light" di elettività, facendo scegliere i consiglieri regionali che diventeranno senatori direttamente dai cittadini. Ma sempre tenendoli a carico delle Regioni.
matteo renzi maria elena boschi
Accettato il principio, che finora gli aveva sempre fatto storcere la bocca, Renzi ha chiesto tuttavia la garanzia che «l' articolo due non venga toccato», una condizione che potrebbe realizzarsi solo se la minoranza Pd ritirasse i suoi emendamenti. Inoltre per il premier è fondamentale la questione dei tempi e pretende che la riforma venga approvata in aula «entro la prima settimana d' ottobre».
Lo "scambio" con l' opposizione interna tocca anche le unioni civili: «Se riusciamo a chiudere questo benedetto accordo - ha aggiunto il segretario Pd - subito dopo l' approvazione della riforma costituzionale portiamo a casa le unioni civili. E poi apriamo la sessione di bilancio». Un calendario fitto, ma è questo che Renzi illustrerà martedì alla riunione del gruppo a palazzo Madama.
Su questa piattaforma sono iniziati in queste ore i primi contatti informali con i bersaniani. Colloqui che tuttavia non impegnano il capo del governo in prima persona. «Fino a martedì parlateci voi», è stata la consegna del premier a Boschi, Zanda e Finocchiaro. «Poi se serve interverrò io».
Durante la discussione che si è aperta quella sera a palazzo Chigi è stata anche passata al vaglio la truppa dei 28 dissidenti dem. E la convinzione comune è stata che una proposta del genere- quella del listino - avrà un impatto tale da spaccare la minoranza in due. Da una parte i bersaniani più dialoganti, dall' altra gli irriducibili. La cui consistenza Renzi ha valutato ieri a pranzo durante il vertice con Alfano, Lupi e Schifani: «Alla fi- ne saranno al massimo una quindicina».
Con questi numeri il premier è sicuro di poter vincere la mano. Anche perché lo stesso Schifani, che dentro Ncd è considerato sempre a un passo dal ritornare da Berlusconi, ha garantito che «i nostri li terremo tutti, a parte due o tre. Che comunque non voteranno contro ma usciranno dall' aula».
Informato in queste ore sulla proposta che sta per essere messa sul tavolo dal premier, Pier Luigi Bersani non ha detto di no. «Un accordo si può trovare». Agli ambasciatori di palazzo Chigi ha però a sua volta posto una condizione. «Renzi deve accompagnarla con un impegno che riguarda il partito. Trovi lui la formula più adatta. Ma deve dire chiaramente che considera fondamentale, anche in questo passaggio, l' unità del Pd. Poi chi si vuole aggiungere si aggiunga ». Insomma è il «metodo Mattarella » quello che invoca Bersani. E Renzi già domani, alla chiusura della festa de l' Unità, inizierà a lisciare il lupo per il verso giusto. Esaltando «il ruolo del Pd e della sinistra nel cambiare il corso dell' Europa». «Sinistra », una parola finora mancante nel vocabolario del premier.