Lettera di Pasquale Tridico a “La Stampa”
pasquale tridico presidente inps foto di bacco
Caro direttore, l'accordo di recente trovato da Consiglio e Parlamento Ue sulla direttiva del 2020 della Commissione dovrebbe finalmente spingere l'Italia ad affrontare il problema del lavoro povero che colpisce oggi circa il 12% dei lavoratori, e lascia circa il 25% a rischio di povertà.
È mia personale opinione che per superare l'impasse dei bassi salari nel nostro Paese, la cui crescita media è stata negativa del -2.9% tra il 1990 e il 2020, e allo stesso tempo avere la convergenza delle forze sindacali, si potrebbe guardare a una combinazione tra contrattazione collettiva, quale forza primaria di fissazione dei salari e di regolamentazione dei rapporti tra imprese e lavoratori, e un riferimento economico "esterno" di garanzia.
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I contratti devono avere valenza erga omnes e la legge dovrebbe anche fissare dei criteri di rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali. I contratti cosiddetti leader di settore e di categoria possono fornire il riferimento monetario esterno, come diverse sentenze della Corte Costituzionale hanno affermato, per evitare l'applicazione di salari troppo bassi, in attuazione dell'art. 36 della Costituzione.
Tuttavia, al di sotto di una certa soglia monetaria non si può scendere. E questa soglia non può essere inferiore ai 9 euro lordi l'ora, che rappresenterebbe quindi un salario minimo di garanzia. In questo caso potremmo avere uno stipendio netto mensile, per un lavoro full time, non inferiore a circa 1.200 euro netti.
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In Europa c'è molta varietà nei salari minimi, che riflette la diversità di reddito e di produttività tra i Paesi. Il Lussemburgo ha un salario minimo netto di circa 2.256 euro; Francia e Germania oltre 1.600; la Spagna sta a 1.125; la Slovenia a 1.074; la Romania a 515 euro.
In Italia, una soglia di 9 euro lordi l'ora - calcolata attraverso criteri oggettivi utilizzati nella direttiva Ue dai standard internazionali, che fissano il livello di adeguatezza minimo come il 60% del salario mediano lordo o il 50% del salario medio lordo - porterebbe a un salario mensile tra quello spagnolo e quello francese. Questo vorrebbe alzare il salario a oltre 4,5 milioni di lavoratori (dati pre pandemia) ovvero il 29,7% (26% se escludiamo lavoratori agricoli e domestici).
Un importo del salario minimo più basso avrebbe impatti trascurabili sul mercato del lavoro, e rischierebbe di non migliorare le condizioni economiche dei lavoratori più deboli.
La questione dei salari bassi nel nostro Paese non è nuova. Ma oggi appare irrinunciabile e urgente: non solo alla luce della fiammata inflazionistica e non solo per migliorare le condizioni dei lavoratori, ma anche per incentivare l'offerta di lavoro.
Sono dell'idea, rafforzata anche da fenomeni noti a livello globale come "Great resignation", carenza di manodopera e aumento del "mismatch" (disallineamento, ndr) tra domanda e offerta, che oggi alzare i salari vorrebbe dire aumentare l'occupazione, e non ridurla. Soprattutto in alcuni settori come la ristorazione, i servizi alle imprese, la logistica, il turismo, i servizi alla persona o di vigilanza, servizi di informazione, dove l'incidenza dei salari sotto i 9 euro raggiunge picchi di oltre il 50%.
Inoltre, in questi settori, si potrebbe avere uno choc positivo sulla dinamica della produttività, come dimostrano chiare evidenze negli Usa e nel Regno Unito. Salari più alti possono stimolare investimenti capital intensive, accelerare la dinamica dei consumi e quindi far ripartire la domanda aggregata e la produttività del lavoro.
I bassi salari sono invece spesso accompagnati da insicurezza e scarsi incentivi per i dipendenti, che portano ad una diminuzione dell'impegno e quindi dell'efficienza dei lavoratori.
luigi di maio pasquale tridico 1
La direttiva Ue spinge gli stati membri ad agire in una direzione chiara e a farlo in fretta, pur non fissando modalità univoche su come procedere. La pandemia ha evidenziato problemi nuovi ed ha spinto più in alto il costo-opportunità di offrire lavoro. Il reddito di cittadinanza ha solo sottolineato il problema storico dei bassi salari.
E il mercato del lavoro italiano ha recentemente mostrato ancor più forti segmentazioni di genere e generazionali, con i giovani e donne in posizione svantaggiata, polarizzazioni reddituali e livelli di protezione diversi, anche dal punto di vista sindacale. Le donne con salari sotto i 9 euro sono il 30% circa delle donne occupate (i maschi sono il 23%), mentre i giovani sotto i 29 anni sono il 47%.
La soluzione di queste segmentazioni non può essere, come pure in passato a volte è avvenuto, pensare di ridurre le protezioni a chi le ha, ma aumentare quelle di coloro che sono in posizione svantaggiata.
In Italia, l'esigenza di un salario minimo legale negli scorsi decenni è stata trascurabile, alla luce soprattutto di una forte contrattazione collettiva.
Nell'ultimo ventennio, tuttavia, non solo si è indebolita la funzione «anti-concorrenziale» della contrattazione collettiva ma, nei casi peggiori, la medesima è stata addirittura utilizzata come strumento di dumping sociale e di law shopping. Hanno proliferato nuove organizzazioni sindacali e datoriali di scarsa o nulla capacità rappresentativa firmatarie di CCNL al ribasso, i cosiddetti "contratti pirata", e una spinta alla "aziendalizzazione" delle relazioni di lavoro.
Oggi, in assenza di una legge sulla rappresentanza sindacale, INPS e CNEL registrano oltre 900 contratti vigenti. Sia la giurisprudenza lavorista che gli studi economici hanno pertanto da tempo sollecitato l'esigenza di un salario minimo legale, tanto più se integrato con la contrattazione collettiva.
Occorre prendere in considerazione anche gli impatti sulla finanza pubblica: con una ipotesi di salario minimo a 9 euro, e con un aumento importante di reddito disponibile per le famiglie, l'INPS stima in circa 3 miliardi il maggior gettito. L'incremento di costo che ci sarebbe per le aziende potrebbe essere neutralizzato, nella fase di transizione, con sgravi finanziati proprio dal maggiore gettito.
La riduzione del cuneo fiscale, però, non sia considerata una misura sostitutiva o alternativa all'introduzione del salario minimo. È semmai una misura che potrebbe essere usata in questa fase a contenimento dell'inflazione, soprattutto per le aziende, se si introducesse il salario minimo.
Con quest'ultimo, l'aumento di reddito disponibile per le famiglie si traduce anche in un impatto positivo su benessere, salute e istruzione, diminuendo le disuguaglianze. Non possono esserci dubbi: il salario minimo sarebbe un importante "assist" alla crescita del Paese.
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