Emanuele Lauria per “la Repubblica”
L'unità nazionale non conosce bandiere. Ma nella stiva del maxi-bastimento di Draghi è già successo un fatto politico non di poco conto: le forze di centrodestra, al Senato, hanno sorpassato la coalizione progressista che comprende Pd, M5S e Leu e che, fra molte polemiche, dovrebbe costituirsi in un unico intergruppo.
Il voto di fiducia della Camera, ieri sera, pur con numeri inferiori, ha confermato uno scivolamento verso destra dell'asse della maggioranza che sostiene Draghi. È l'effetto, in entrambi i rami del Parlamento, del dissenso manifestato da una fetta dei 5Stelle che ha eroso la forza del Movimento.
Premessa: i passaggi parlamentari del debutto hanno confermato che il premier ha una coalizione larghissima e non corre rischi. Ma è la fisionomia di questa coalizione che sta subito cambiando. A Palazzo Madama le 21 defezioni targate 5S (15 voti contrari e sei non hanno partecipato al voto, non tenendo in considerazione i due in congedo o missione) fanno scendere la compagine grillina a 71 componenti, da sommare ai 35 senatori del Pd e ai 4 di Leu: la pattuglia di Liberi e Uguali conta in realtà 6 senatori, ma due iscritte ex grilline - Elena Fattori e Paola Nugnes hanno votato contro la fiducia.
MARIO DRAGHI PARLA ALLA CAMERA
I calcoli sono presto fatti: i giallorossi vantano adesso 110 senatori, contro i 115 di Fi e Lega. Ciò significa che, anche senza i 19 senatori di Fratelli d'Italia schierati per il no, le due componenti della coalizione che sostengono Draghi rimangono più rappresentative rispetto al cantiere progressista.
Il governo, è chiaro, può contare anche sul sostegno di altre forze minori: Italia Viva con i suoi 18 iscritti al gruppo, gli Europeisti di Tabacci e Merlo (10), le Autonomie (5), una parte del misto a lui favorevole che al netto degli esponenti di Leu conta 9 senatori. Ma un dato è certo. Se Fi e Lega non facessero parte dello schieramento extra-large di Draghi, se non avessero risposto all'appello all'unità nazionale di Mattarella, la maggioranza assoluta per il premier in Senato non ci sarebbe, stando all'esito di ieri: sarebbero 152 in tutto i sì, esclusi i senatori a vita.
GIANCARLO GIORGETTI MARIO DRAGHI LUIGI DI MAIO
Questi numeri, da parte di giallorossi e "cespugli" sono addirittura inferiori a quelli che l'ex presidente Giuseppe Conte racimolò in occasione dell'ultima fiducia chiesta a Palazzo Madama: allora l'avvocato giunse a quota 156.
Alla Camera i giallorossi mantengono una consistenza superiore a quella di Fi e Lega: malgrado i 30 voti venuti meno a M5S, l'asse fra Pd, Leu e grillini ha 259 seggi, una quarantina in più delle due forze del centrodestra.
giancarlo giorgetti mario draghi
In ogni caso, con queste cifre sarà più facile per le forze più conservatrici far passare provvedimenti a loro graditi: Matteo Salvini, qualche giorno fa, si era detto convinto che dentro il governo Draghi non avrebbe faticato troppo per «trovare convergenze su temi caldi come giustizia, tasse, cantieri, controllo dell'immigrazione».
Tutto da verificare, ovviamente, ma non è arduo immaginare che in una coalizione più spostata verso il centrodestra Lega e Fi possano utilizzare con efficacia anche la sponda offerta dai moderati, Italia Viva in primis. «È chiaro che soprattutto al Senato faremo valere la forza dei numeri - dice il forzista Andrea Cangini - imporre i nostri temi e la nostra visione. A partire da un'impostazione più garantista della riforma della prescrizione. La spaccatura dei 5S è una buona notizia per due motivi: dà maggiore forza al centrodestra e pone all'opposizione la frangia estremista dei grillini. Con gli altri, vedrete, potremo ragionare».
GIUSEPPE CONTE MARIO DRAGHI GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI MARIO DRAGHI E GIUSEPPE CONTE CONTE DRAGHI