Marco Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Giammai, in tutta la storia della Lega, si era sentita tanto nominare Messina nel quartier generale di via Bellerio. Il capoluogo dello Stretto è il risultato più scintillante del salvinismo in tutta Italia: il civico sostenuto dalla Lega, Federico Basile, straccia l'avversario interno del centrodestra (a risultati non definitivi) con il 46 contro il 27%. Ma per la Lega, le note positive non sono poi molte.
Anche se Salvini ricorda: «Ci danno per morti, ma abbiamo 20 sindaci. E io spero che diventino 27 al secondo turno». L'effetto è un po' rovinato dal fatto che Salvini citi alcune località balneari «per lo spirito del periodo», ma il problema è che Fratelli d'Italia conquista terreno anche al Nord e molto spesso batte la Lega nei suoi stessi territori: il sorpasso che l'anno scorso FdI aveva mancato per un soffio a Milano si materializza a Verona, Padova e Genova.
E complica parecchio la trattativa per le regionali siciliane, dove Giorgia Meloni punta sulla riconferma di Nello Musumeci, sgradito alla Lega: già ieri il tema era vivacemente stressato nel cortile della sede di partito.
Salvini ricorda: «A Verona il centrodestra unito avrebbe vinto con il 60% dei voti. A Palermo e in alcune città lombarde abbiamo rinunciato ai nostri candidati. Per la Lombardia si deciderà in Lombardia, per la Sicilia si deciderà in Sicilia. Non impongo Fontana a nessuno, lo offro alla coalizione. Evidentemente, lì dovremo trovare qualcuno che unisce».
Ma il referendum per la Lega è una sconfitta tale che Salvini non riesce a mordersi la lingua come in queste ore ha fatto parecchie volte: «Se per i referendum tutti ci avessero messo la stessa passione della Lega, il risultato sarebbe stato diverso».
Comunque, sul superamento di FdI, Salvini la mette così: «In alcuni comuni sono avanti loro, in altri siamo avanti noi, ma quello che conta è il risultato del centrodestra: la squadra conta più del singolo, la coalizione conta più del partito».
In realtà, il risultato complica tutto e non soltanto la vicenda interna al centrodestra. Perché spinge Salvini alla rimonta mettendo sotto pressione il governo. Il leader leghista ha già iniziato: al mattino, prima ancora che inizi lo spoglio nelle città, dà mandato ai suoi fidi non soltanto di mettere a punto la «risoluzione di maggioranza» che sarà presentata il 21 giugno dopo il discorso del premier.
Soprattutto, chiede che «entro una quindicina di giorni» siano pronti tutti i dossier da lasciar cadere sul tavolo di Palazzo Chigi. Mentre annuncia che gli emendamenti alla riforma della giustizia della ministra Cartabia non saranno ritirati. Non è tutto.
Salvini chiede al ministro dell'Economia, Daniele Franco, di prorogare gli sconti benzina: «Su questo peseremo la Lega al governo, non su voti importanti in cui però vengono pesati i sindaci».
E per finire, rilancia forte ciò che nei giorni scorsi aveva accennato: «L'adeguamento di stipendi e pensioni al costo della vita». Lui stesso dice che «nel 2022 non si può tornare alla "scala mobile". Ma un sistema va trovato».
Per finire, non rinuncia alla puntura nei confronti di Mario Draghi: «Evidentemente non basta il prestigio del premier se lo spread cresce, la Bce non compra più il debito italiano e il giorno dopo la Borsa perde il 5 per cento...».
E in serata il vice segretario Lorenzo Fontana rincara: «O il governo inizia a pensare ai cittadini o la Lega farà le sue scelte». Tutto questo per dire che il Carroccio si appresta a far cadere il secondo governo in tre anni? Che l'appello di Giorgia Meloni sarà ascoltato?
Salvini frena. Perché «vincere a Belluno non è come affrontare i gravi problemi che ha di fronte il governo». E se è ovvio che «chi prende un voto in più» esprime il premier, chiarisce che «lo decideranno gli italiani alle Politiche. Il mio obiettivo è che il centrodestra vinca nel 2023» .