Gian Micalessin per “il Giornale”
migranti a bordo della humanity 1
È un bel trappolone ordito con la collaborazione mai ammessa quanto evidente di Ong e «amici» europei. Il governo nella fretta di uscirne rischia, però di spararsi nei piedi. Il primo colpo fuori bersaglio è già partito.
E lo dimostrano i 145 migranti sbarcati dalla Humanity 1 a fronte dei soli 35 rimasti a bordo. Uno smacco su cui rischiamo il bis se, come minaccia un comandante emulo di Carola Rackete, la nave tedesca non lascerà il porto di Catania. Ovviamente il governo merita qualche attenuante.
Un esecutivo arrivato al potere promettendo di cambiare le regole degli sbarchi non poteva stare a guardare. Soprattutto dopo una settimana in cui il meteo ha garantito l'approdo di oltre cinquemila migranti. Una cifra insopportabile per un governo chiamato non solo a garantire le promesse elettorali, ma anche un'accoglienza civile. Per capirlo basta tornare al luglio 2017.
Allora il ministro del Pd Marco Minniti, costretto a confrontarsi con 12mila sbarchi in 48 ore, parlò di «rischio per la tenuta democratica del Paese». Oggi le cifre sono inferiori e la democrazia resta in mani sicure, ma di certo sarà impossibile garantire dignitosa ospitalità a tanti irregolari. Tutte queste contingenze hanno reso più letale l'imboscata tesa al governo.
L'agguato scattato non appena Giorgia Meloni si è presentata a Bruxelles è stato scandito dal «nein» di Berlino e Oslo alla legittima richiesta di farsi carico dei migranti recuperati da due navi come «Humanity 1» ed «Ocean Viking» registrate in Germania e in Norvegia.
Due «nein» inaccettabili in virtù di un diritto marittimo che assimila le navi al territorio di cui battono bandiera. Da quel momento, però la sconfitta è stata inevitabile.
migranti a bordo della humanity 1
I melliflui sorrisi regalati alla Meloni dalle autorità europee hanno evidenziato l'egoismo di 26 partner europei concordi nel considerare le Ong lo strumento migliore per scaricare sull'Italia il peso dell'immigrazione irregolare. La sconfitta rappresenta comunque una preziosa lezione e rende evidenti due realtà già comprese da Minniti nel 2017.
La prima è che dai partner europei non ci si può aspettare né solidarietà, né collaborazione. La seconda è che i vascelli delle Ong rappresentano l'ultimo miglio del traffico di uomini. Assodate queste due verità la battaglia non può esser vinta né nel Canale di Sicilia, né tantomeno nei nostri porti. Il canale di Sicilia battuto dalle Ong e dominato dall'indifferenza europea è ormai un passaggio obbligato verso le nostre coste.
I porti, come già visto con Salvini e confermato dalla vicenda di «Humanity 1», sono invece l'anticamera della sconfitta. L'accondiscendenza dei medici dell'Usmaf, pronti a certificare la fragilità di 145 migranti su 179 pur di evitare accuse e minacce, ha soltanto risparmiato un «liberi tutti» sancito dal magistrato di turno. Il tutto nel coro assordante di un'informazione assolutamente distonica rispetto alla maggioranza dell'opinione pubblica.
Ma la lezione più importante riguarda le mosse future. Da oggi in poi il governo deve essere consapevole che l'unica via per dribblare le trappole delle Ong e dell'Europa passa per la Libia.
Se vogliamo bloccare il traffico di uomini dobbiamo tornare ad esercitare la nostra influenza nell'ex colonia rilanciando la collaborazione con la Guardia Costiera di Tripoli avviata nel 2017. È una strada lunga e complessa che rischia portarci allo scontro con una Turchia vero demiurgo della nostra ex colonia.
L'unica alternativa è la modifica di quel Trattato di Dublino che c'impone di garantire assistenza o rimpatrio agli irregolari sbarcati sul nostro territorio. Ma per riuscirci dovremmo prima convincere i 26 «amici» europei. Una missione talmente improbabile da rendere più accettabile persino la prospettiva di un confronto con la Turchia di Erdogan.