F.Oli. per la Stampa
Un fine settimana per rifiatare dallo stress emotivo e politico di questi giorni ed ecco che torna viva la battaglia in Catalogna. È un lunedì chiave per capire come andrà da qui al 21 dicembre, la data scelta dal premier Rajoy per le elezioni anticipate.
La piazza resta protagonista, in un senso e nell' altro. Ieri è stato il turno degli unionisti.
Una folla importante, oltre un milione per gli organizzatori, 300 mila per la Municipale, ha ribadito il suo no all' indipendenza, dichiarata in fretta e furia venerdì scorso. Al corteo sul Passeig de Gracia di Barcellona hanno partecipato i partiti che hanno appoggiato l' applicazione dell' articolo 155 della costituzione (il commissariamento della Generalitat): dal Partito popolare, a Ciudadanos e anche il Partito socialista catalano.
A parte due brutte aggressioni a un tassista e a un' impiegata delle ferrovie, tutto si è svolto tranquillamente. Leader morale, come già nella dimostrazione dell' 8 ottobre, è stato l' ex presidente del parlamento europeo Josep Borrell, socialista catalano, nemico del secessionismo. Motto della giornata: «Tutti siamo la Catalogna». Coro più ascoltato: «Puigdemont a prisión».
E l' ipotesi non è affatto da scartare: ieri la Procura generale ha deciso che la denuncia per ribellione contro la presidente del Parlamento Carme Forcadell, sarà presentata non soltanto al Tribunale supremo ma anche all' Audiencia nacional di Madrid, quella, per intenderci, che ha spedito in prigione (preventiva) i due leader secessionisti, Sánchez e Cuixart. La Procura ha pronte altre denunce contro Puigdemont e i membri del suo ex governo. Il presidente decaduto, in caso di condanna per ribellione, rischia fino a 30 anni di carcere.
Alle brutte, ci sarebbe un' ancora di salvezza: «Puigdemont potrebbe chiedere asilo politico al Belgio», dichiara il ministro dell' Immigrazione Theo Francken, il quale non crede nella giustizia spagnola, «vista la repressione, ci si può chiedere se ci sarà un processo equo». Il suo primo ministro, Charles Michel lo riprende, «non è all' ordine del giorno», anche perché è reduce da una crisi diplomatica con Madrid, dovuta alle critiche per le cariche del referendum.
Calcio a parte, Puigdemont e i suoi ministri non sono comparsi nemmeno ieri. Oggi è un giorno importante, perché si capirà se opporranno resistenza passiva, ovvero entreranno nei loro uffici, dopo la destituzione decisa dal governo spagnolo e già operativa. Stesso discorso vale per circa 150 funzionari. La sensazione è che si cercherà l' immagine simbolica, la foto che dimostri l' usurpazione spagnola, ma non si dovrà ricorrere alla forza per far sloggiare i dirigenti della Generalitat.
In questa direzione si potrebbero leggere le parole dell' ex vicepresidente Oriol Junqueras, che, dopo aver ricordato che Puigdemont resta il capo legittimo della Generalitat aggiunge, «nei prossimi giorni dovremo prendere decisioni non facili da capire». Un messaggio, forse, ai suoi che si aspettano resistenza a oltranza. Ma i partiti indipendentisti ora hanno una missione: ricompattarsi per le elezioni del 21 dicembre, giudici permettendo. [f. oli.]