Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”
Lui si è difeso, anzi ha cercato quasi di rilanciare con una nota nel pomeriggio, rinnovando, anche se in modo più pacato, l'accusa di propaganda contro media italiani ritenuti «ostili». Il copione in apparenza cambia solo di poco, nonostante la strigliata della Farnesina e la convocazione negli uffici del segretario generale del ministero Esteri Ettore Sequi.
Ma per l'ambasciatore russo Sergey Razov, 69 anni, qualcosa però è decisamente mutato dopo la convocazione concordata nel week end da Mario Draghi con il ministro Luigi Di Maio. È cambiato un dato: non può più permettersi, almeno questo è stato il richiamo, la stessa prassi comunicativa delle ultime settimane. Almeno se non vuole mettere a rischio la sua permanenza in Italia.
mario draghi e luigi di maio alla camera
Perché da quanto si riscontra sia a Palazzo Chigi sia alla Farnesina il senso della convocazione è stato quello di comunicare una soglia, una sorta di limite entro il quale il diplomatico che gode ancora della fiducia del Cremlino dovrà rimanere in futuro. «La metamorfosi di un diplomatico in esponente politico non è contemplata, in nessun Paese europeo», è il succo che del colloquio con Sequi fa una fonte di governo.
Bisognerà vedere se Razov rispetterà quanto gli è stato consigliato, di certo il governo italiano è pronto a ulteriori passi se si ripresenteranno «dichiarazioni al limite, parole gravi, espressioni calunniose inaccettabili» da parte di un diplomatico, secondo la sintesi della vicenda che viene fatta da una delle persone che hanno gestito il dossier.
ambasciatore russo a roma razov
Nel corso del colloquio con l'ambasciatore Ettore Sequi è stato chiesto conto di diverse dichiarazioni ritenuti gravi, inopportune, necessarie di un chiarimento: dalle parole, sin troppo leggere, condite anche con un pizzico di ironia, rilasciate nel giorno della Festa della Repubblica, piccato per non essere stato invitato alle cerimonie da parte del capo dello Stato, Sergio Mattarella; sino alle dichiarazioni contro i media e i giornalisti italiani accusati di fare disinformazione contro il sistema di interessi del governo russo, e infine contro i politici italiani, dei quali è stata messa in dubbio «la moralità».
ettore francesco sequi foto di bacco (5)
Sequi ha chiesto espressamente conto almeno delle ultime due esternazioni. Nel caso del post contro il sistema mediatico italiano è apparso che Razov abbia pubblicato un contenuto non prodotto in Italia ma confezionato direttamente a Mosca e poi inviato a Roma e diramato dall'ambasciata.
Ma in entrambi i casi quello che ha colpito il nostro governo è stata la totale incapacità di Razov di spiegare, rispondere nei dettagli, offrire almeno una pezza di appoggio alle contestazioni che gli sono state elencate. Quasi che fosse imbarazzato, privo di giustificazioni da condividere con il Paese che gli ha espresso un gradimento, anche se prima dello scoppio della guerra ovviamente.
sergey razov a piazzale clodio 5
Secondo alcuni analisti Razov interpreta una parte, che lo costringe ad avere un comportamento che esula dai confini strettamente diplomatici: contro il rischio di essere richiamato a Mosca deve non solo ubbidire e agire secondo istruzioni che possono arrivare dal Cremlino, ma in alcuni casi deve anche apparire più realista del re, anticipare comportamenti e dichiarazioni che in caso di omissione gli potrebbero essere contestati. Forse anche questo spiega il silenzio osservato di fronte alle accuse che gli sono state rivolte dal nostro governo, o di fronte agli inviti a giustificarsi: ieri mattina Razov aveva poche parole, quasi nessuna risposta, molto imbarazzo e soprattutto la voglia di conservare il posto.