Franco Bechis per “Libero quotidiano”
Disperato no, perchè non è il tipo. Ma il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non si trova certo nella più facile delle situazioni della sua vita. Non ha trincea da scavare, ed è in mezzo a due fuochi: arrivano pallettoni dall’Unione europea, dove si chiede una risposta immediata sulle conseguenze che avrebbe sui conti pubblici italiani l’applicazione della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni. Spara ai fianchi pure Matteo Renzi, che non vuole questa grana fra i piedi durante la campagna elettorale per le amministrative.
A Bruxelles il titolare della politica economica italiana ha risposto prima attraverso un’intervista poi in modo più formale che il caso sarà affrontato già alla fine di questa settimana in consiglio dei ministri e che comunque la soluzione escogitata non impatterà sulle previsioni programmatiche di finanza pubblica del 2015, nemmeno sul rapporto previsto del 2,6% fra deficit e Pil.
matteo renzi pier carlo padoan
La sola certezza che emerge da queste parole la possono avere i pensionati sopra i 1.400 lordi, cui la Consulta ha abrogato il blocco della indicizzazione del mensile stabilito da Monti e Fornero per il 2012 e il 2013: non riavranno indietro l’intero maltolto. Forse qualcuno di loro sì, certamente la gran parte della platea interessata no.
Perché il governo oggi ha poche certezze, perfino sul consiglio dei ministri annunciato venerdì prossimo (non è affatto detto che sia pronto un decreto legge nelle prossime ore, e la parola più gettonata ora è «rinvio»), ma quella più certa di tutti è che non esistono i 13 miliardi di euro necessari a pagare tutti gli arretrati e ad incrementare le pensioni per l’anno in corso, e tanto meno esistono i 20 miliardi necessari ad assicurare la medesima copertura nell’arco di tempo del Def (anche nel 2016 e nel 2017 dunque).
matteo renzi pier carlo padoan
Non esistono, e non verranno stanziati nemmeno ricorrendo ad operazioni fiscali straordinarie. L’unico modo per non avere questo esborso è riprodurre il blocco stabilito nella legge salva-Italia varata a dicembre 2011, attenuandone gli effetti per venire incontro alla «filosofia» della sentenza della Consulta. Le ipotesi tecniche in questo momento sul tavolo del ministero dell’Economia sono molte, ma ruotano tutte intorno a questo pilastro base: non si pagherà tutto il dovuto.
C’è una proposta di integrale rinvio della questione alla prossima legge di stabilità, appoggiata per altro da alcune forze di maggioranza (come Scelta civica guidata dal sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti): si darebbe qualche mese di tempo all’Inps per calcolare nel dettaglio gli effetti della sentenza e offrire materiale tecnico nel dettaglio sulle simulazioni di una applicazione parziale a seconda degli assegni pensionistici. Decidere di non decidere nulla però irriterebbe non poco l’Ue, al cui pressing Padoan sembra assai sensibile.
Allora se di rinvio si dovesse trattare, avrebbe comunque gli effetti economici complessivi dichiarati pubblicamente. L’impianto del decreto legge poggerebbe su un’applicazione progressiva della sentenza della Consulta per fasce di reddito, con la stessa filosofia della curva di tassazione Irpef. Si applicherebbe così il 100% della rivalutazione degli assegni fino a 1.500 euro lordi al mese per tutti i pensionati, e poi 50% della rivalutazione fra 1.500 e 2.000 euro, 30% fra 2 mila e 2.500 euro, 20% da lì fino a 3 mila euro e poi nulla.
Le percentuali possono variare nelle varie ipotesi tecniche, ma il concetto base di applicazione della sentenza è questo. Così si ridurrebbe sensibilmente quel costo totale di 13 miliardi. Ma anche per questa ipotesi al momento i soldi non ci sono, e sarebbero da trovare.
PALAZZO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Allora c’è una ipotesi di riserva che sembra la più gettonata in questo momento ai piani alti del governo: sterilizzare con il decreto il rimborso degli anni pregressi, rinviando la soluzione alla prossima legge di stabilità (che troverà i fondi sia per il passato che per il futuro), e applicare lo schema di rivalutazione progressiva intanto al 2015 a partire dal mese di giugno. Questa soluzione non impatterebbe sui tendenziali di finanza pubblica, perchè agendo solo su 7 mesi e non su 12 secondo il governo sarebbe pagata interamente dal tesoretto che dicono di avere messo da parte (1,6 miliardi).
INPS ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA SOCIALE jpeg
I pensionati non si arrabbierebbero troppo, perchè riceverebbero l’assegno attuale incrementato e la promessa di restituzione futura degli arretrati. Certo in 3-4 mesi di tempo per saldare il passato non salteranno fuori soluzioni miracolistiche. Ma si cercherebbe una trattativa con la Ue per imputare gli arretrati agli anni di competenza, scrivendo le cifre necessarie «sotto la linea del debito».