Estratto dell'articolo di Francesco Olivo per la Stampa
giorgia meloni ignazio la russa sergio mattarella parata 2 giugno
Lo consideravano autorevole, ma ora è soprattutto ingombrante. Eppure lo devono tenere al suo posto. Inamovibile, ma sicuramente scomodo. Ignazio La Russa ne fa tante, troppe. Nel suo partito lo sanno e da tempo hanno organizzato una sorta di sistema d’emergenza che si attiva a ogni sparata del senatore. Per Giorgia Meloni, sin dai giorni della fondazione di Fratelli d’Italia, Ignazio è stato una guida utile e a tratti decisiva, apriva porte e all’occorrenza sapeva anche sbatterle, ma in questa fase la sua figura sta diventando, ad ascoltare il dibattito interno a FdI, più un problema che un sostegno.
IGNAZIO LA RUSSA GIORGIA MELONI - BY EDOARDO BARALDI
La questione La Russa è seria, anche perché, a differenza di ministri e sottosegretari, il presidente del Senato resterà tale per tutta la durata della legislatura, a modo suo. E il timore di molti in via della Scrofa è che il vero obiettivo delle inchieste su Daniela Santanchè possa essere proprio lui, da sempre legato alla ministra del Turismo, per motivi politici, professionali e anche di amicizia. La riunione con i legali dell’imprenditrice, nella quale il presidente del Senato avrebbe dispensato consigli sulla strategia legale, ma di fatto anche quella politica, rende manifesto un conflitto se non di interessi, per lo meno di ambiti.
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Meloni lo sa e ha provato ancora una volta ad appellarsi al buon senso, se non alla disciplina istituzionale: «Non parlare più». Il riferimento è al caso giudiziario che coinvolge il figlio Leonardo Apache, quando La Russa ha, attraverso una nota, espresso dubbi sulla versione di una ragazza che ha denunciato lo stupro, avvenuto, secondo il racconto della giovane, nella casa del presidente del Senato. La premier si è alterata e ha preteso che si correggesse il tiro. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ma La Russa è forse l’unico iscritto al suo partito davanti al quale la premier ha sovranità limitata.
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A ogni gaffe, nel partito corrisponde un’alzata di spalle, «sappiamo com’è fatto...». Ora, però, lo sguardo imbarazzato non basta più. Verso di lui il sentimento è sempre oscillato dall’affetto allo sconcerto. Con una prevalenza del secondo, man mano che le figuracce aumentano. Nessuno osa attaccarlo in pubblico, ma la questione è ben presente negli sfoghi dei dirigenti. Meloni si è anche trovata costretta a censurarlo pubblicamente, quando lo scorso aprile, tra gli stand del Vinitaly, definì «sgrammaticatura istituzionale» le frasi in libertà sulla strage di via Rasella. Le posizioni su fascismo e Resistenza hanno costretto il partito e quindi di fatto anche Palazzo Chigi a giocare in difesa per varie settimane, fino al 25 aprile, causando un danno d’immagine notevole.
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Il potere gli derivava poi dall’innegabile capacità nelle trattative, nelle quali La Russa sa alternare momenti di amabilità a un tratto aggressivo, quasi brutale, finalizzato a piegare la controparte. Quando le vicende si complicavano, gli alleati non si piegavano o un candidato non si voleva ritirare, c’era Ignazio. Il problema, però, è che Ignazio c’è ancora sfidando apertamente l’etichetta istituzionale. Le cronache, ricche di testimoni, raccontano che il presidente del Senato è entrato in molte vicende locali, da Imperia alla Regione Lombardia, dove ha preteso un posto in giunta per il fratello Romano, creando forti malumori nel partito e nella coalizione. Insomma, non si è fatto ingabbiare, ma nella sua gabbia rischia di entrare tutto il partito.