1. L’UNICO TALENTO DEL PD: CANDIDARE L’UOMO GIUSTO AL TURNO SBAGLIATO
DAGONOTA - Triste destino del centrosinistra: arrivare sempre con un turno di ritardo, giusto in tempo per la sconfitta. È dal 2006, quando Veltroni scelse di non candidarsi alla Presidenza del Consiglio, per restare ancora un po’ sindaco di Roma e avere tempo di costruire il nascente Partito Democratico, che la storia si ripete.
Dopo 5 anni di moscio governo Berlusconi, con Rifondazione Comunista di nuovo in una coalizione larghissima, da Mastella a Di Pietro, le elezioni erano già vinte. Eppure “L’Unione” si giocò comunque la carta Prodi per non rischiare, e finì per vincere per 24mila voti alla Camera – dove il Porcellum garantiva una solidissima maggioranza – e una manciata di senatori in più, che tra compravendite e dipietristi infedeli furono il tallone d’Achille di un governo precario che durò solo 20 mesi.
Nel 2008 finalmente fu il turno di Veltroni, ma stavolta le urne erano perse in partenza, e così il suo 33% (che oggi per i grillini è una vittoria) fu una sconfitta che portò il primo segretario del Pd alle dimissioni.
Saltiamo il 2011, Monti e i monticiani, e si arriva al 2012. Renzi sfida alle primarie Bersani. Il partito temeva il toscano rottamatore e si fece compatto intorno al leader emiliano, garantendogli un non travolgente 44% contro il 35% di Renzi (il resto andò a Puppato, Vendola e Tabacci. Pare un secolo fa).
Febbraio 2013, prime elezioni politiche sotto la neve della storia italiana, Bersani “non-vince” e il suo 25% non gli consente di formare un governo. Arriva Enrico Letta, che raccoglie PD, Scelta Civica e Popolo della Libertà, che poi si spaccherà con l’abbandono di Berlusconi e la nascita dell’NCD alfaniano.
Renzi alle primarie del dicembre 2013 naturalmente si prende tutto il cucuzzaro (66%), contro Civati (14%) e Cuperlo (18%). Ma invece di portare il paese al voto subito – il suo mantra era “mai a Palazzo Chigi senza consenso delle urne” –, il giorno di San Valentino del 2014 sceglie di soffiare il posto al povero #Enricostaisereno. Era all’apice del consenso, tanto che nel giugno dello stesso anno il Pd raggiunse un risultato che non vedrà mai più: il 40,6% alle europee.
Avanti veloce al 2017: Renzi intanto ha perso tutto quello che poteva perdere: amministrative, grandi città, referendum costituzionale. Vince di nuovo, ostinatamente, le primarie, a cui è costretto dalla scalcinata minoranza di Emiliano e Orlando. Matteuccio sa che alle elezioni del 4 marzo 2018 prenderà uno schiaffone, ma ha per la prima volta la possibilità di inzeppare le liste elettorali di fedelissimi, e perché mai dovrebbe perdere questa occasione?
Se però invece di irritare gli elettori con i suoi slogan usurati, avesse candidato Gentiloni – secondo tutti i sondaggi il leader più gradito del centrosinistra – il Pd non avrebbe comunque vinto ma avrebbe preso una manciata di punti in più, che gli avrebbero permesso di sognare un futuro non nerissimo (come invece è).
Oggi la storia si ripete: sono passati due mesi dal 4 marzo, e Renzi lancia quello che era il candidato “naturale”. Giusto in tempo per mandarlo a sbattere. Sipario.
2. GENTILONI PREMIER E MARTINA SEGRETARIO LA TREGUA DEI DEMOCRAT SE SI VOTA SUBITO
Nino Bertoloni Meli per il Messaggero
Qualcuno lo chiama già il ticket della resistenza, con la erre minuscola. Sarebbe formato da Paolo Gentiloni, candidato premier, e da Maurizio Martina, segretario del Pd. E' questo l' orientamento più che prevalente ormai al vertice dem, che ha cominciato a prendere le misure ove mai la situazione, come pare, precipitasse verso elezioni ravvicinate ravvicinatissime, in estate. I due dovrebbero tentare se non il rilancio, almeno il recupero, la resistenza, appunto, di fronte a una nuova chiamata alle urne che non si annuncia come una passeggiata. Tutt' altro.
E Matteo Renzi? Resterebbe fuori da tutto, non sarebbe alla guida di nulla, farebbe ovviamente la campagna elettorale, ma non come il numero uno, come il personaggio simbolo alla testa della coalizione. «Gentiloni è il candidato naturale», ha annunciato Renzi a Di martedì, aggiungendo che, quando si tratterà di scegliere il segretario vero, non in fase di emergenza, lui pensa ancora alle primarie ma non si candiderà, «io non correrò», ha promesso.
NUOVO STATUTO
In contemporanea, Maria Elena Boschi a Porta a porta ha aggiunto un altro tassello: per la scelta del segretario fuori dalla fase emergenziale, le primarie saranno sempre lo strumento cui fare riferimento, ma verrà apportata una modifica allo statuto in modo da «distinguere la figura del candidato premier da quella del segretario».
Una distinzione che serve intanto per varare il ticket estivo, e in prospettiva è una soluzione anche questa che potrebbe rasserenare ulteriormente il clima interno, dal momento che è una richiesta da tempo avanzata dalle minoranze, oltre a essere uno dei cavalli di battaglia dei bersaniani e di quanti poi sono usciti dal Pd. Renzi ha poi precisato che il candidato premier sarà «tendenzialmente» Gentiloni, spiegando che non vuole «tirarlo per la giacchetta».
Una precisazione che probabilmente tiene conto dello scarso entusiasmo che il medesimo Gentiloni avrebbe manifestato per questa investitura («dopo il premier farò... l' ex premier», raccontano abbia scherzato con i suoi). Ma tant' è. Chi ha speso gli ultimi tempi, e magari anche i penultimi, per avere un Pd derenzizzato, chi continua a sostenere che con Renzi si perde, ottenuto il passo indietro dell' imputato un altro candidato premier con un certo richiamo deve comunque schierarlo. Una cosa Renzi ci ha tenuto a precisare: «Non mi candiderò, d' accordo, ma non rinuncerò a dire la mia. E se qualcuno mi dice non parlare perché dobbiamo fare l' accordo con il M5S, io dico che coerenza e dignità valgono molto più di un accordo sottobanco».
Il Pd è entrato in modalità pre-elezioni con tanta apprensione. Ne ha discusso in mattinata al Nazareno l' ormai consueto caminetto di tutti i big più alcuni ministri, i capigruppo, che hanno sentito in diretta lo scoppio del bus che ha bloccato il centro della Capitale per ore, con Minniti accorso subito sul posto per verificare di persona che non si trattasse di attentato et similia.
Un caminetto che ha registrato una sorta di pax emergenziale interna, dove si è convenuto di procedere con Martina segretario da eleggere all' assemblea che verrebbe convocata per il 19.
Quanto alle liste, Renzi e maggioranza vorrebbero che si cambiasse il meno possibile, una sorta di riconferma in blocco, mentre Orlando è per la tesi opposta, azzeramento, memore della battaglia con morti e feriti sul campo della volta scorsa. Si vedrà.
Anche per questo continua a circolare l' ipotesi di affiancare al segretario prossimo venturo un direttorio per la formazione delle liste. «Mah, è un organismo non previsto dallo statuto né da alcunché, non capisco perché continui a circolare», chiosa Guerini.