SALVINI CHIUDE LA PORTA IN FACCIA AGLI SCISSIONISTI BOSSIANI E SI ALLINEA ALLA MELONI – IL CAPITONE, SICURO DI VINCERE A FEBBRAIO NELLA “SUA” LOMBARDIA E ANCHE NEL LAZIO, HA PRESO ATTO DEL CAMBIO DEI RAPPORTI DI FORZA, IN APPARENZA SENZA VOGLIE DI RIVINCITA INTERNA: CON IL PRIMATO DELLA DESTRA MELONIANA ORMAI ACQUISITO, L'ULTIMO GRUMO DI RESISTENZA INTERNA ALLA MAGGIORANZA E' BERLUSCONI...

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Massimo Franco per il Corriere della Sera

 

umberto bossi e matteo salvini umberto bossi e matteo salvini

Il modo in cui Matteo Salvini ha chiuso la porta in faccia ai dissidenti lombardi guidati dal fondatore Umberto Bossi mostra insieme molta sicurezza e altrettanta irritazione. Sicurezza di vincere a febbraio nella «sua» Lombardia, e anche nel Lazio di Giorgia Meloni, sebbene dalle sue parole traspaia la sensazione che a prevalere sarà dovunque un centrodestra trainato da Fratelli d'Italia. Irritazione, invece, perché i malumori che hanno portato al distacco di un pezzo di Lega sono un colpo diretto alla sua leadership.

 

Il «tanti saluti e buon Natale» rivolto sbrigativamente ai transfughi del «Comitato Nord» è un «no» a qualunque ipotesi di trattativa e di compromesso con loro: quello che sembrava avesse tentato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ricevendoli qualche giorno fa nel suo ufficio milanese.

 

E riflette anche la certezza che lo spostamento dei loro consensi verso Letizia Moratti, candidata del terzo Polo, non cambierà l'esito del voto. «La Lega vincerà in Lombardia e nel Lazio», scommette Salvini.

 

«E ha cinque ministri e un vicepremier lombardi».

giorgia meloni a porta a porta 9 giorgia meloni a porta a porta 9

 

Il capo del Carroccio aggiunge anche che «sta portando a casa l'autonomia» differenziata voluta dalle regioni del Nord.

 

Ma in realtà, quest' ultimo risultato appare tuttora virtuale. Che però Salvini senta aria di ulteriore affermazione del suo schieramento dopo le Politiche del 25 settembre è innegabile. E sembra anche rasserenato, o rassegnato, alla prospettiva che il partito di Meloni sorpassi nuovamente i propri alleati.

 

«Chi prende un voto in più o in meno non importa», assicura. «È già successo.

L'importante è che sia nella coalizione».

 

È la presa d'atto del cambio dei rapporti di forza, in apparenza senza voglie di rivincita interna: con il primato della destra meloniana ormai acquisito. Ed è un passo in qualche modo obbligato; reso inevitabile dall'indebolimento oggettivo che la fronda di Bossi provoca.

 

La Lega è stata storicamente una forza compatta e fedele al proprio leader. La crepa che si è prodotta negli ultimi mesi rappresenta una novità e un piccolo trauma, compensato solo in parte dalle quote di potere ottenute da Salvini nella trattativa per formare il governo. Forse, l'unico grumo visibile di malumore e di resistenza che rimane è berlusconiano. In parte è la conseguenza dello scontro sui ministri e, ora, di una manovra finanziaria nella quale alcune richieste di FI sono state accantonate per mancanza di coperture.

matteo salvini e umberto bossi matteo salvini e umberto bossi

 

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