Carlo Nicolato per Libero Quotidiano
Il Qatargate potrebbe riesumare le velleità internazionalistiche di almeno un italiano, la cui carriera politica rischiava di spegnersi sul più bello dopo anni di inspiegabile ascesa.
Già si sapeva che Luigino di Maio era lì in prima fila tra quelli che avrebbero potuto rivestire il ruolo di inviato dell'Unione Europea nel Golfo, ma nonostante il parere del panel tecnico alle cui selezioni era incredibilmente risultato primo e nonostante la presunta stima che l'Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell, ha sempre speso per lui, sembra che quest' ultimo, cui spetta la decisione finale, avesse infine optato per affidare il prestigioso incarico al greco Dimitris Avramopoulos, come il buon Di Maio ex ministro degli esteri del suo Paese ma risultato terzo nella selezione di cui sopra.
Non chiedete come l'attuale leader di Impegno Civico si sia aggiudicato il primo posto di quella misteriosa classifica, forse per le sue numerose visite in Medio Oriente da ministro degli Esteri di Draghi, forse perché la selezione si è tenuta in inglese, di cui si narra l'ex grillino sia arguto conoscitore, forse per i buoni rapporti intessuti con i suoi ex colleghi francesi e tedeschi, forse anche per la non certo buona impressione che al contrario aveva lasciato al caustico ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov («La sua idea di diplomazia è viaggi a vuoto in giro per i Paesi e degustare piatti esotici a ricevimenti di gala» aveva detto di lui), ma anche il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che è una vecchia volpe degli ambienti europei, spingeva perché al posto di Di Maio ci andasse l'ateniese Avramopoulos, suo compagno di avventure nel Ppe.
ITALIA-GRECIA Poi però è arrivato il Qatargate che secondo la vulgata europeista che conta è un "italian job" è quindi in teoria dovrebbe guastare ulteriormente le prospettive dell'ex grillino, ma dal momento che lo scandalo è in realtà è un "greek-italian job", non a caso si dice "italiani-greci una faccia una razza", in attesa che si allarghi a qualche altra nazionalità, e soprattutto che il greco Avramopulos è risultato essere nel boarding dell'ong Fight Impunity, quella diretta da Antonio Panzeri, dal quale è stato di conseguenza costretto a dimettersi, anche le quotazioni dell'ex ministro degli Esteri ellenico sono crollate. O meglio, a scanso di equivoci il suo nome sarebbe già stato depennato dalla lista dei papabili stilata dallo spagnolo Borrell al quale resta poco più di un mese per dare il suo responso finale.
Resta dunque Di Maio, sul quale appunto però pende la spada di Damocle dell'italianità molesta aggravata, secondo alcuni, dal fatto che l'ex ministro è stato alleato dei piddini e quindi in area Socialisti e Democratici europei. In realtà un non problema dal momento che lo stesso Borrell è a sua volta socialista del gruppo S&D.
L'OSTACOLO La ritrovata fiducia di Di Maio, corroborata pare anche da una serie di messaggi della Meloni con i quali pare assicurasse che il governo in carica non si sarebbe opposto alla sua nomina (ma non avrebbe nemmeno fatto campagna elettorale per lui), può alla fine trovare solo un plausibile ostacolo lungo la strada per il Golfo, un complicato sloveno di nome Jan Kubis. Il secondo classificato dalla commissione valutatrice, anche lui ex ministro degli Esteri nel suo Paese ma, a differenza di Di Maio, con una vasta esperienza come inviato speciale delle Nazioni Unite in Paesi islamici piuttosto complicati come l'Afghanistan, l'Iraq e Libano.
Kubis però, che si è laureato a Mosca e vanta la stima di Lavrov, a sua volta viene considerato un personaggio di non facile gestione, come dimostrerebbero le recenti burrascose dimissioni da capo della missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia in polemica con la linea americana della stessa. Ancora una volta resta dunque solo il nome di Di Maio, l'unico immacolato e inoffensivo, come le cose che dice e non dice. Il profilo perfetto perché nessuno si faccia del male, almeno nel Golfo.