1. L' ECLISSI DI ALFANO. A RISCHIO POLTRONA E MEZZO PARTITO
Anna Maria Greco per il Giornale
Se Matteo Renzi è lo sconfitto del voto referendario, ancor di più lo è Angelino Alfano. Che ora si chiede che futuro ci sia per lui e il suo piccolo Ncd. In un tweet cerca di imitare il savoir faire del premier dimissionario: «Insieme a milioni di italiani, abbiamo giocato una bella partita e l' abbiamo persa. È stato bello e giusto giocarla: per l' Italia». Poi si precipita a Palazzo Chigi per incontrare Renzi e cercare di conservare la poltrona nel prossimo governicchio.
Lui e Maurizio Lupi sono stati ben attenti a non esporsi troppo nella campagna referendaria, mandando in tv la portavoce Valentina Castaldini. Però, la botta è stata micidiale, nel sud e in Sicilia in particolare e il passo indietro di Renzi impone di fare in punto sulla linea da tenere fuori e dentro al partito. E qui sembra che siano già emerse le prime spaccature, proprio tra il titolare dell' Interno e il capogruppo di Ap, che cerca la verifica. Stamattina alle 11 ha convocato i gruppi di Camera e Senato e domani la direzione nazionale per valutare l' esito del voto.
Se Alfano spera di salvarsi sotto le ali protettrici di Renzi, pur azzoppato com' è, Lupi preme per un riavvicinamento con Silvio Berlusconi. Subito dopo il voto s' è affrettato a dichiarare:«Questa maggioranza non c' è più. Il governo di larghe intese ha finito il suo compito. Adesso serve una nuova fase».
Ma ieri mattina Alfano ha fatto correggere la linea dalla presidente dei senatori di Ap Ncd-Udc, Laura Bianconi: «In parlamento esiste ancora una maggioranza e un governo termina la sua esperienza politica nelle aule parlamentari. Ncd è nato per garantire la stabilità e la governabilità, e con lo stesso senso di responsabilità continuerà a orientare le sue scelte».
Il refrain è questo: responsabilità, stabilità, governabilità. Si sussurra che anche il titolare del Viminale abbia fatto qualche passo per sondare un riavvicinamenti al centrodestra, ma ha trovato un muro e al momento crede più nel seguito dell' avventura nel centrosinistra. Certo, deve fare i conti anche con il fallimento del Sì nel Sud, lui che è l' unico ministro meridionale. Nella sua Sicilia si è registrato un 71% di contrari alla riforma, come gli ricorda l' ex amico Renato Schifani, tornato a Forza Italia. A casa sua, Agrigento, Angelino è stato umiliato dal 75 % di No e il record siciliano s' è registrato a pochi chilometri, a Porto Empedocle: 80%.
«I flussi elettorali - avverte Schifani- evidenziano che ben il 78 per cento degli elettori Ncd (esigui) non ha seguito le indicazioni di partito, votando No (Teknè). Quando si snatura l' identità di un partito, cambiandone posizionamento politico, la base elettorale non segue».
D' altronde, anche l' Udc s' è schierata per il No, rompendo il fronte centrista e dividendosi da Ncd . Ora il segretario Lorenzo Cesa festeggia quella che chiama la vittoria dei «democristiani» uniti. Insomma, quello che Alfano ha definito «il nuovo centrodestra che sta col nuovo centrosinistra» non gode certo buona salute. Pure se lui è convinto che, soprattutto con un ritorno al proporzionale nella legge elettorale che si dovrà riscrivere, rimarrà strategico.
In più, lo assillano i guai suoi, di parenti e amici: l' inchiesta sul caso-Shalabayeva, le notizie sulle consulenze pubbliche alla moglie, la sospetta carriera del fratello alle Poste, le inchieste sul sottosegretario siciliano Giuseppe Castiglione per il Cara di Mineo e sul coordinatore in Sicilia di Ncd Francesco Cascio, che proprio ieri è stato sospeso dall' Assemblea regionale dopo la condanna in primo grado per corruzione.
In questa situazione è facile immaginare che si aggravi l' esodo dal partito. Il primo a presentare le dimissioni è stato Maurizio Bernardo, presidente della commissione Finanze della Camera e signore delle tessere a Milano. Altri, si può scommettere, seguiranno.
2. L' ALA SI E’ SPEZZATA: NESSUNO VUOLE PIU’ L’AGO DELLA BILANCIA
Silvia Cocuzza per il Giornale
Da braccio destro di Silvio Berlusconi a stampella di un governo di centro sinistra (o pseudo tale): la breve parabola di Denis Verdini si consuma tutta nell' arco parlamentare del Senato, dove più volte la compagine verdiniana è stata determinante per la tenuta del governo. D' altronde Palazzo Madama è da sempre la cartina al tornasole di flussi di casacca.
E proprio Renzi ha saputo profittarne meglio di chiunque, scendendo a patti con il conterraneo Denis ogni qual volta ce n' è stato bisogno. Un' accozzaglia, questa sì, a lui gradita. A Verdini, d' altro canto, delle riforme non è mai importato granché. Però, vuoi mettere provare l' ebbrezza di contare come l' ago del bilancino e proporre il suo pacchetto di voti alla sinistra. Quelli delle tessere tra i banchi dell' aula, s' intende, perché fuori di lì sapeva bene di contare ancor meno di Alfano. Di cui pure, ha seguito le sorti.
Invero, ai tempi della fuoriuscita di Angelino fu proprio lui a rassicurare il Cavaliere con un: «tranquilli, che non lo segue nessuno». Salvo poco dopo, fare lo stesso. Verdini ha sbagliato i conti. Per ironia della sorte, quello che tra i corridoi di Palazzo Madama è ribattezzato da sempre il partito delle poltrone, rischia di non vederne più neanche una, di quelle poltrone. Nonostante il Senato resti esattamente dov' è.
LUCIO BARANI CON LA MAGLIETTA JE SUIS CRAXI
Sarà per questo che Ignazio Abrignani, portavoce nazionale di Ala, si è affrettato a far sapere che «Se verremo chiamati a dare il sostegno a un governo per fare cose utili per il paese, sicuramente ci potremmo stare». Peccato che Verdini, e la sua «ala» spezzata, adesso non servano più a nessuno.
Non serve all' ex premier, che in verità, com' è nel suo stile, aveva già cominciato a scaricarlo dopo averne tarato il peso alle recenti amministrative, dove le uniche liste collegate a Verdini hanno preso poco più dell' uno per cento. E di sicuro, quell' ala, non serve ai suoi uomini. Quelli meno esposti, fuoriusciti un po' da ogni dove della galassia centrista, tenteranno la strada del ritorno del figliol prodigo, e il giro delle sette chiese è già cominciato.
Stesso umore, fra i verdiniani della prim' ora, che speravano in un rimpasto e ora costretti a virare verso ben più modeste ambizioni. Come Lucio Barani, capogruppo Ala al Senato, che fonti accreditavano ambire al ministero della Salute e invece, pare sia già andato a bussare alla porta di Caldoro, per tornare con il Psi. Ma anche, pare, a quelle del renziano Nencini, perché non si sa mai.