DAGOREPORT
C’è un Conte prima e dopo il coronavirus. Precedentemente la pandemia il premier era molto debole, oggi a virus galoppante - con Draghi che non ci pensa nemmeno a trattare con Di Maio e compagnia, disponibile solo a fare il Capo dello Stato – lo schiavo di Casalino è molto forte. Infatti, non fa che ripetere: “Basta! Ascolto tutti e parlo con tutti., ma poi decido io”. A stento ascolta, vedi la nomina di Colao, i suggerimenti di Mattarella.
Anche se a maggio, quando proporrà il piano della Ripartenza, ci sarà lo scazzo con Renzi, che vuole un piano molto forte di riapertura, l’Avvocato di Padre Pio (tutto) si sta già adoperando con Gianni Letta, tornato in gran spolvero. Sarà lui a portare a Conte i voti dei senatori di Forza Italia per rimpiazzare quelli di Italia Viva.
Ma attenzione. Non tutte le ciambelle riescono col buco. Gli altri due partiti della maggioranza, sull’operato di Conte, sono spaccati al loro interno. Metà a favore, metà contro. Zingaretti, insofferente degli assoli di Conte, a causa virus, ha dovuto mollare la guida del partito e naturalmente lo spazio è stato subito riempito dal vispo Franceschini che si è impadronito di mezzo partito e fa da contraltare a Conte per aumentare il prezzo.
Da parte sua, Zinga non solo ha cestinato la linea Conte sul Mes inadeguato ma ha in mente di lanciare una grande operazione per sburocratizzare il Sistema Italia e chi la può portare avanti, secondo il segretario dei dem, si chiama Vittorio Colao. E i peli tinti di Conte, ovviamente, si drizzano perché teme che il manager che tutto il mondo ci invidia gli tolga il terreno sotto i piedi.
dario franceschini e nicola zingaretti alla finestra dell'abbazia di contigliano 5
I palazzi della politica attendono trepidi l’esito della riunione del 23 aprile dei premier europei. Se c’è il Recovery Fund (extra budget), Conte canterà vittoria. Anche se dovrebbe ringraziare in ginocchio Mattarella e Gualtieri se l’Italia otterrà ‘sto benedetto fondo per la ripresa. Se il budget da mille miliardi del Recovery è a babbo morto perché deve essere approvato dai 27 paesi all’unanimità, allora il M5S lo molla.
PD e Renzi hanno già dichiarato che “sarebbe oggi un clamoroso errore rinunciare ai 37 miliardi del Mes senza condizionalità”, quello per le spese mediche. I consumi sono calati di un terzo, lo spread ha sfondato quota 200 e il FMI prevede per l’Italia un meno 9,1% di Pil nel 2020: insomma, siamo con l’acqua alla gola, peggio di noi solo la Grecia, alla fine mejo poco che niente.
Ma Di Maio e Crimi, anche per non fornire munizioni a Salvini e Meloni, tuonano: “L’Italia non farà mai ricorso al Mes, noi Cinque Stelle non potremmo mai accettarlo. Non esiste il Mes senza condizionalità. Per noi rimane una fregatura”.
Quindi Crimi, nell’intervista oggi al “Fatto”, ha alluso alla spaccatura con il PD sottolineando che Conte è con loro, prigioniero: “Mi stupiscono le parole del PD, perché mettono in discussione la linea del governo e del premier Conte, che ha espresso la necessità di altri strumenti”. E Di Maio di rincalzo: “Uso le parole di Conte: il Mes è uno strumento antiquato”.
Si va così delineando, se l’esito del 23 aprile sarà senza Recovery, una frattura della maggioranza che spedirà il secondo governo Conte all’inferno (purtroppo ci finirà anche il paese).