Claudio Antonelli per La Verità
Mai più di ieri Roma è stata a metà strada tra Bruxelles, Berlino e Washington. Non certo in senso geografico ma politico. I rappresentanti dell' Ue, il governo di Angela Merkel e gli staff dei due presidenti americani hanno sintonizzato le loro antenne sulla crisi di governo e sul futuro di Giuseppe Conte. Tanto che ieri il premier ha vissuto una delle sue giornate più difficili, stretto tra due morse. Una molto italiana che guarda con interesse a ciò che succede oltre l' Atlantico e preme sempre più per far cadere l' esecutivo: Matteo Renzi.
L' altra è molto tedesca e porta chiaramente l' imprinting di Angela Merkel, nonostante la voce sia quella di Ursula von der Leyen. Ieri mattina, giusto per dare la sveglia a Conte, la presidente della Commissione Ue ha rilasciato una dichiarazione per nulla sibillina. «Stiamo negoziando con gli Stati membri» sul Recovery «indipendentemente dalle diverse situazioni politiche», ha detto la von der Leyen, «abbiamo condizioni chiare secondo le quali il fondo di rilancio è accessibile, vale a dire: investimenti e riforme, il green deal e la transizione digitale. Questo è quello che conta per noi», ha tenuto a specificare rispondendo alla domanda se l' Italia rischia di perdere i fondi in caso di una crisi politica e di governo.
Tradotto in parole più semplici, quell'«indipendentemente dalle situazioni politiche», significa che per la Germania a questo punto che ci sia Conte, il Conte ter o forse, meglio ancora, un nuovo premier non cambia nulla.
Il continuo balletto di ritardi sul Recovery plan dettati da motivazioni esterne ai fondi e di mera gestione del potere (come ormai è palese) starebbe irritando non poco la cancelliera. La quale, d' altronde, ha puntato tutto sul Recovery fund. Sul successo dell' operazione si basa la sua uscita di scena trionfante e il passaggio di consegne al suo successore a Berlino. Con il Recovery fund la Germania garantirà ai Paesi del Mediterraneo l' accesso ai mercati finanziari e di conseguenza si assicura il ruolo di primus inter pares per i prossimi 20 anni. Un tema tanto importante quanto le trattative commerciali con la Cina, dove domina - anche in questo caso - la Germania. Visto quello che c' è in ballo, pensare che le pastoie del Conte bis possano mettere a repentaglio i piani futuri del Nord Europa è inimmaginabile. Consapevolezza che potrebbe aver spinto il capo di Italia viva ad alzare l' asticella dello scontro e della spregiudicatezza. Da qui l' idea di mettere il carico da undici sulle dichiarazioni già aspre di giovedì sera. Renzi in televisione ha sollevato il tema delle deleghe ai servizi di intelligence. L' ha sollevato in via definitiva.
«Assurdo che il presidente del Consiglio non voglia cedere la delega ai servizi come hanno fatto tutti i suoi predecessori», ha detto l' ex sindaco di Firenze ai microfoni di Tg2 Post, «ma per rispetto agli agenti che rischiano la vita ogni giorno e che agiscono sotto copertura o quando c' è da pagare un riscatto o da difendere le istituzioni, non ne parlerò più. Da qualche mese i servizi sono oggetto di una polemica assurda, sono sconvolto». Una dichiarazione dalla quale non si torna indietro. E che fa capire quanto il tema sia alla base dell' intera crisi di governo.
Le veline uscite sui giornali raccontano di una sorta di veto di Renzi sulla coppia Conte e Gennaro Vecchione. Il caso del direttore del Dis è ormai stato così stressato che in molti si chiedono quale sia il reale obiettivo di Renzi. Le sue dichiarazioni sull' incontro tra il procuratore William Barr e il capo del Dis avvenuto ad agosto del 2019 hanno acceso l' attenzione anche del comitato per la sicurezza. «Sono sempre stato dell' idea che fosse meglio un sottosegretario delegato, come è stato sempre nel passato, con l' eccezione di Paolo Gentiloni (che pensava però che il suo compito fosse di condurre il Paese alle urne), anzi meglio un ministro delegato come la legge consente. Però, mi lasci dire», ha dichiarato ieri il vice presidente del Copasir, Adolfo Urso, «che questa insistenza di Renzi e del Pd ad accaparrarsi la delega proprio in questo contesto mi appare davvero strana e peraltro non in sintonia con lo spirito della legge». Il senatore di Fdi ha poi aggiunto una serie di dichiarazioni pesanti riprese anche dal sito Affaritaliani.
renzi mejo dello sciamano di washington
«Perché non si fidano di come Conte abbia esercitato la delega? Hanno qualche notizia che il Copasir non ha? Renzi lo imputa alla gestione del caso Barr, su cui peraltro il Copasir ha già svolto le sue audizioni, che venne in Italia nell' agosto 2019, proprio mentre il centrodestra reclamava le elezioni. Se Renzi sa qualcosa in merito lo venga a riferire al Copasir invece di lanciare oscuri messaggi trasversali».
Come dire, per dichiarare la sfiducia a Conte su questi temi, Renzi sa cose che il Copasir non conosce?
Una partita a poker pericolosissima. Da un lato Conte è ormai assediato dall' Europa e da Renzi (il quale forse crede di avere in tasca il sostegno politico degli Usa), ma dall' altra parte il leader di Italia viva cammina su un filo sottilissimo e la mannaia che esercita sulle deleghe ai servizi può ritorcersi contro. A breve è prevista l' udienza del premier davanti al Copasir. Il tema è il sequestro dei pescatori a Bengasi. Ma si sa che una volta faccia a faccia i membri del comitato possono fare anche altre domande. E a quel punto potrebbe essere lo stesso premier a spiegare perché Renzi scalpita su questi temi.
Certo, sempre che Conte arrivi a lunedì come premier e si risolva tutto con un rimpasto e le deleghe ai servizi affidate a Luciana Lamorgese.
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