Leonardo Martinelli per “la Stampa”
Era già molto tardi, il 10 luglio 1985. Da una banchina un po’ defilata del porto di Auckland, un gommone partì lentamente, nel buio, diretto verso una nave dipinta coi colori dell’arcobaleno. Avevano notato tutti il Rainbow Warrior: faceva scalo in Nuova Zelanda, per poi dirigersi verso l’atollo di Mururoa, dove la Francia doveva effettuare test nucleari. I volontari dell’organizzazione ambientalista volevano protestare, disturbare, anche documentare.
Ma da quel gommone si tuffarono in acqua due misteriosi personaggi: collocarono cariche esplosive sulla carena. Poco prima di mezzanotte, due botti, a distanza di poco tempo. E il Rainbow colò a picco.
La vittima
Nel naufragio morì Fernando Pereira, fotografo di Greenpeace. Ma chi erano quegli ignoti assalitori? Molto presto emerse la verità, erano stati i servizi segreti francesi a organizzare tutto. Ma sulla vera identità dei «nuotatori d’assalto», preparati in gran segreto in una base militare della Corsica, aveva sempre aleggiato un mistero profondo. Ieri uno di loro, a trent’anni dalla tragedia, ha deciso di parlare, a viso scoperto.
Si tratta del colonnello in pensione Jean-Luc Kister, che ha rilasciato un’intervista al sito d’informazione Mediapart. E in particolare al fondatore, il giornalista Edwy Plenel, che (ironia della sorte) all’epoca lavorava a «Le Monde» e fu all’origine di diversi scoop che inchiodarono Parigi di fronte alle sue responsabilità.
Le scuse
Kister ha parlato. E soprattutto ha chiesto scusa. «Adesso che le passioni si sono placate e grazie anche alla distanza che ho preso rispetto alla mia professione – ha detto –, questa è una buona occasione per esprimere i miei profondi rimpianti e presentare le mie scuse». Si è rivolto in particolare alla famiglia di Pereira. Di origini portoghesi, aveva abbandonato il suo paese negli anni 70 per sottrarsi al servizio militare ed evitare di partecipare alle guerre coloniali in Africa.
Fernando era un sognatore. Andò a vivere in Olanda e si avvicinò presto a Greenpeace. Proprio quel 10 luglio 1985 aveva compiuto 35 anni. Una prima carica esplose: doveva servire a spaventare l’equipaggio, che in effetti fuggì. Ma Fernando si precipitò nella sua cabina a cercare macchina e materiale fotografici. Un’altra esplosione e la nave si schiantò. Lui rimase intrappolato dentro: morì affogato.
segolene royal un messaggio di auguri a valerie
Contro i test di Mururoa
A guidare il gommone e a portare i due compagni alla base del Rainbow, c’era il capitano Gérard Royal, fratello dell’attuale ministro dell’Ecologia Ségolène Royal.
A portare il terzetto, invece, sulla banchina del porto con un furgone e a riprenderlo dopo il blitz ci pensarono Alain Mafart e Dominique Prieur, altre due spie, che si facevano passare per i coniugi Turenge, svizzeri in vacanza dicevano loro. Furono i soli a essere catturati dalla polizia neozelandese, mentre stavano per prendere l’aereo che doveva riportarli a casa.
L’operazione era stata voluta dal ministro francese della Difesa, Charles Hernu. Ma ricevette anche l’avallo del presidente, François Mitterrand. In realtà si era pensato inizialmente a un’esplosione più piccola, che solo danneggiasse la nave. E le impedisse di arrivare nei tempi previsti a Mururoa.
Un’altra opzione era provocare una dissenteria a bordo. Ma si preferirono le maniere forti. «Fu un’operazione assolutamente sproporzionata – accusa oggi Kister -. Il problema era che dall’alto ci dicevano: “Bisogna che questa storia finisca definitivamente, occorre una misura più radicale. Quella nave deve affondare e basta”».