IL SULTANATO DI ERDOGAN È AI TITOLI DI CODA? – DOMENICO QUIRICO: “L'ATTENTATO A ISTANBUL AFFONDA LA MINIERA DEL TURISMO CHE HA CONSENTITO QUEST' ANNO DI FRONTEGGIARE IL COLLASSO ECONOMICO. E DISTRAE ERDOGAN DALL'ULTIMA DEI SUOI TRASFORMISMI, LA METICOLOSA COSTRUZIONE CIOÈ DELL'IMMAGINE DI PACIFICATORE E DI MEDIATORE TRA GLI IMPERI CON CUI HA MESSO A SUO PROFITTO PERFINO LA GUERRA IN UCRAINA. UN VELO STESO SULLE ACCUSE DI USARE METODI REPRESSIVI E AUTORITARI PER RAFFORZARE ANCOR PIÙ IL NIDO DI CONSENSO DI CUI GODE. A MENO CHE NON RIESCA A TRASFORMARE L'ORRORE IN PROPAGANDISTICA…

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Domenico Quirico per “La Stampa”

 

attentato istanbul 6 attentato istanbul 6

Due luoghi per tentare di decifrare una strage ancora senza firma, collezione di mistero e congetture, un «vile attentato» come lo ha definito senza specificare Erdogan. Il primo è quello dove è stata collocata la bomba o il kamikaze ha realizzato il suo proposito criminale, via Istiklal, trasformata in un attimo in uno spazio in cui si ha l'impressione di vivere la fine del modo in poche centinaia di metri, in plastico museo dell'orrore.

 

È stata scelta non soltanto per essere un luogo affollato in cui un ordigno moltiplica le vittime, ma perché è un simbolo. È una deliziosa arnia di consumismo: vetrina, non la sola ma una delle più scintillanti, della weltanschaung erdoganiana, della nuova Turchia che in vent' anni il sultano capace di succedere sempre a se stesso ha costruito per scandire il suo successo.

 

attentato istanbul 4 attentato istanbul 4

Non a caso nel 2015 e nel 2016 lo Stato islamico la scelse per punire la Turchia con una serie di attentati ancor più micidiali e mortiferi di quello di ieri. Sembra oggi un'altra Era. Dopo aver fatto affari petroliferi e favorito il passaggio dei miliziani che andavano a unirsi al Califfato, Erdogan nel 2015 cambiò politica e chiuse la frontiera agli islamisti. E per questo divenne un regime apostata da unire.

 

RECEP TAYYIP ERDOGAN VLADIMIR PUTIN RECEP TAYYIP ERDOGAN VLADIMIR PUTIN

L'attentato, in questo luogo, scandisce brutalmente il momento in cui il sogno della nuova Turchia potente e moderna, in miracoloso equilibro tra passato e futuro, restaurazione e innovazione, sembra arrivata allo stadio della crisi e del disamore. Il prossimo anno, le elezioni presidenziali sotto l'urto della crisi economica che cancella l'analgesico del miracolo permanente e senza fine potrebbero mettere in crisi quella macchina per vincere che è il partito della Giustizia e dello Sviluppo.

 

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Nulla può essere più pericoloso per Erdogan di questa sfida sanguinosa portata proprio all'immagine del suo potere. L'attentato affonda con l'onda d'urto della paura la miniera del turismo che ha consentito quest' anno di fronteggiare il collasso economico. E distrae Erdogan, in questo che appare come un lento autunno del patriarca, dall'ultima dei suoi trasformismi, la meticolosa costruzione cioè dell'immagine di pacificatore e di mediatore tra gli imperi con cui ha messo a suo profitto perfino la guerra in Ucraina. Un velo, l'ennesimo, steso sulle accuse di usare metodi repressivi e autoritari per rafforzare ancor più il nido di consenso di cui gode.

 

A meno che questo funambolico rabdomante, capace di coniugare con un pragmatismo freddo autocrazia e populismo, non riesca a trasformare l'orrore per questo attentato nell'arma propagandistica che ne prolunga per l'ennesima volta il potere.

 

Non sarebbe la prima volta che il terrorismo diventa l'utilissimo pretesto con cui le autocrazie, combinando paura e rabbia, hanno puntellato uno zoppicante consenso.

Una delle poche notizie che il governo ha fatto filtrare è che l'attentato è opera anche di una donna. È un elemento che pare allontanare dalla consueta pista islamista e ricondurre al Pkk curdo che lo ha utilizzato in passato e che pare in grado di colpire in modo così clamoroso e micidiale nel cuore del Paese.

 

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I curdi da mesi sono nel mirino di Erdogan che ha minacciato più volte di allargare con un'invasione la fascia di sicurezza anti-curdi in Siria nella zona di Afrin fino alla città di Kamechliyé. Offensiva che ha dovuto rinviare ogni volta per l'opposizione dei russi, che sostengono il governo di Bashar Assad, e degli americani.

 

Il secondo luogo da cui potrebbe iniziare il filo dell'attentato si chiama Idlib, in Siria appunto, ultima roccaforte delle formazioni jihadiste che combattono contro il regime di Damasco e i suoi alleati Russia e Iran. Una zona «liberata», quanto resta delle sbandate formazioni della rivoluzione siriana, che la Turchia protegge garantendo appoggio alle formazioni come Hayar Tahrirn al Sham che utilizza per i suoi interessi strategici in territorio siriano.

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Idlib: terra di nessuno dove sono imprigionati quattro milioni di profughi , in cui si affoga nelle sigle islamiste che cambiano in un vorticoso mimetismo come insegne di negozi, teatro complicato di alleanze che durano un giorno come le tregue, dove l'Isis che sta rialzando la testa ha cercato finora invano di insediarsi e di prendere il potere sugli altri concorrenti dalle tinte islamiste almeno a parole meno forti.

 

recep tayyip erdogan volodymyr zelensky recep tayyip erdogan volodymyr zelensky

È la Siria incubo e miraggio di Erdogan, che lo adesca come una fissazione dal 2011, pozzo di ambizioni e frustrazioni, tra l'incubo della possibile nascita dal caos della guerra civile di uno Stato curdo alla frontiera e i sogni neo-ottomani di riafferrare Aleppo e il Nord della Siria che Ankara considera come terra sua, sottratta dai soprusi della storia del Novecento.

 

È la Siria da cui vengono i quattro milioni di profughi a cui con accorta mossa politica dal 2011 ha dato asilo dopo lo scoppio della guerra civile; che ha usato per tenere a bada le antipatie dell'Europa e lucrare sulla angoscia occidentale per «l'invasione» dei profughi. Ma che ora stanno diventano un grave problema politico anche per lui. Perché la crisi economica ha fatto crescere l'insofferenza dei turchi per questa costosa ospitalità.

recep tayyip erdogan volodymyr zelensky antonio guterres recep tayyip erdogan volodymyr zelensky antonio guterres

 

Tanto che si chiede di negoziare con Bashar il loro ritorno in Siria, e lo stesso Erdogan, che pensa al voto, ha annunciato piani per trasferirli in nuovi insediamenti con cui popolare di fedelissimi la fascia di sicurezza. Idlib è il punto di partenza per ogni ipotesi, un nodo sanguinoso di tragici tribalismi, di faide del fanatismo che si mescolano a concreti interessi, difficile da tenere a bada anche per uno spregiudicato domatore come Erdogan. Duri scontri hanno messo di fronte le milizie filoturche e la formazione che ha preso l'eredità di Al Qaida. Un'altra pista che potrebbe spiegare il mistero sanguinoso di Istanbul.

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