Alberto D’Argenio per “la Repubblica”
Ventisei miliardi di flessibilità su due anni. Tanto ha strappato l’Italia in mesi di negoziati con Bruxelles per il biennio 2016-2017. Così la riunione di oggi della Commissione europea da appuntamento a rischio, Roma avrebbe potuto essere bocciata sui conti e commissariata in politica economica, per Renzi rappresenterà una vittoria. Circa 430 euro a italiano rosicchiati all’austerity, in media più di 1700 a famiglia.
La Ue poi promuoverà il governo nelle raccomandazioni ad hoc previste per ogni Paese: bene le riforme, in particolare il Jobs Act, quella costituzionale giudicata in grado di rendere più governabile l’Italia e quella della giustizia. Luci e ombre sul sistema bancario (bene i progressi ma restano i rischi) e sul fisco.
Un giudizio globalmente lusinghiero, ma raggiunto con un negoziato aperto fino all’ultimo. È vero che già da mesi Renzi e Padoan avevano un accordo informale con il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e con il responsabile agli Affari economici, Pierre Moscovici, avallato da Angela Merkel. Ma è anche vero che i falchi annidati a Bruxelles, Francoforte e Berlino fino all’ultimo hanno provato a far saltare il tavolo lamentando troppe concessioni per Roma.
Ma la carta politica che ha permesso a Renzi di allargare le maglie delle regole Ue è stata quella della stabilità: Germania a parte, l’Italia è l’unico grande Paese con un governo stabile ed europeista. E né Juncker né la Merkel volevano un nuovo fronte con Roma - Renzi ha fatto sapere per tempo che in caso di bocciatura avrebbe reagito con iniziative clamorose mentre l’Unione rischia il suo futuro su Brexit e migranti. A dimostrazione del volto politico del via libera anche la scelta di rinviare le sanzioni sul deficit alla Spagna su richiesta dei commissari di centrodestra per non azzoppare il Partido Popular (ancora al governo con Rajoy) in vista delle nuove elezioni di giugno.
Così l’Italia viene promossa e nel 2016 potrà tenere il deficit al 2,3% del Pil, una correzione appena dello 0,3% (ha chiuso il 2015 al 2,6%) rispetto all’1,2% inizialmente previsto. Uno sconto dello 0,85% pari a 14 miliardi. Praticamente tutta la flessibilità chiesta da Renzi, una somma mai vista nell’eurozona. Lo 0,4% del bonus (8,2 miliardi) garantito dalle riforme, lo 0,25% (4 miliardi) dagli investimenti, lo 0,04% (700 milioni) dalle spese sui migranti e lo 0,06% (950 milioni) dalle misure antiterrorismo. E Roma viene graziata anche sul debito, che anziché calare resta al 132,7%.
Uno sconto al quale si somma quello incassato per il 2017. Proprio su questo punto la trattativa (utile anche a salvare la credibilità di Bruxelles verso l’esterno) è stata durissima fino all’ultimo. Roma alla vigilia del referendum sulla riforma Boschi di ottobre avrebbe dovuto impostare una manovra da 20 miliardi per portare il deficit all’1,1%. Ha ottenuto uno sconto dello 0,7%, pari a 12 miliardi.
pier carlo padoan, pierre moscovici e michel sapin 4193e149
Potrà dunque fermare il risanamento all’1,8%. Una manovra da “appena” 8 miliardi ai quali ne vanno aggiunti altri 2 per una serie di divergenze di calcolo tra Italia e Ue. Proprio la quantificazione di questo sforzo supplementare è stato oggetto dell’ultimo miglio della trattativa tra Padoan, la colomba Moscovici e il suo diretto superiore, il ben più rigido vicepresidente Dombrovskis, chiusa lunedì sera e fissata ieri con uno scambio di lettere. Il duo brussellese nella sua missiva chiedeva «impegni chiari e credibili da parte dell’Italia » per il 2017 in cambio della flessibilità.
Padoan ha risposto garantendo che «una deviazione significativa (sul deficit, ndr) sarà evitata» e che «l’impegno del governo si rifletterà nella Legge di stabilità». Un accordo nel quale non compaiono cifre in miliardi come chiesto da Roma per non impiccarsi a numeri precisi (non è un mistero che ottenuto l’ok Renzi medita di chiedere ulteriori margini di manovra per tagliare le tasse). Accordo passato ieri in un duro meeting dei capi di gabinetto della Commissione e che oggi, nonostante i malumori dei falchi, verrà formalizzato nella riunione del collegio presieduto da Juncker. La fine di un braccio di ferro iniziato a ottobre.