FEDERICO CAPURSO per la Stampa
comizio di giorgia meloni dopo il voto al senato su draghi 3
È come se lo steccato che fino ad oggi aveva tenuto separata, pur con qualche fatica, la campagna elettorale da Mario Draghi, improvvisamente fosse venuto giù. Non perché il presidente del Consiglio voglia scendere nell’arena, ma a una settimana dal voto, in quella che probabilmente è stata la sua ultima conferenza stampa da premier, punge (senza mai nominarli) Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Ovvero, i leader che più hanno offerto motivi di preoccupazione per il futuro assetto dell’Italia nello scacchiere internazionale. E i tre, all’unisono, rispondono al fuoco.
Sul tavolo ci sono le simpatie di Fratelli d’Italia per l’autocrate ungherese Viktor Orbàn e l’invito di Draghi a scegliere, piuttosto, alleati europei in linea con la storia del nostro Paese. Meloni reagisce rinnegando la sintonia con palazzo Chigi di cui tanto si era parlato e scritto negli ultimi mesi: «Un giorno sono draghiana, il giorno dopo sono fascista. Sono ricostruzioni fantasiose», dice alla festa nazionale della Confederazione delle associazioni europee di professionisti e imprese. «Siamo diversi da come ci etichettano. Ma che si dica che sono draghiana, io che sono stata all'opposizione del governo Draghi, fa abbastanza sorridere».
Poi prende le difese di Matteo Salvini: «Non so a chi Draghi faccia riferimento quando dice che c’è chi parla di nascosto con i russi, chi vuole togliere le sanzioni, però io guardo i fatti e il centrodestra è sempre stato compatto nel condannare e nel votare i provvedimenti che erano necessari a sostenere l’Ucraina». A differenza - fa notare - della coalizione di centrosinistra.
Salvini è meno diplomatico. O quantomeno, non fa nulla per nascondere l’irritazione scattata dopo aver sentito Draghi parlare di «pupazzi prezzolati» che parlano «di nascosto con i russi». Quando arriva a Pontida per la festa nazionale della Lega, il segretario è già carico di veleno: «Oltre che parlare di pupazzi - dice -, spero che Draghi trovi il tempo e i soldi per aiutare gli italiani a pagare le bollette, perché non so se ha capito l’emergenza nazionale a cui stiamo andando incontro».
La conferenza stampa del premier? «Non l’ho sentita, non c’è ancora un articolo della Costituzione che lo imponga». I suoi rapporti con il premier? «Corretti, da parte mia». Ogni risposta è affilata. E nel giudizio su Orbàn e le sue leggi liberticide non compie nessun passo indietro. Anzi, mostra il petto: «L'Ungheria lo ha appena rieletto. Quando la gente vota, noi lo rispettiamo. Spero che altri rispettino il voto degli italiani».
Conte, più di Salvini, si sente invece chiamato in causa dall’incoerenza che Draghi vede in chi «vota contro l'invio delle armi a Kiev e poi si inorgoglisce per l'avanzata dell'Ucraina». Stoccata dolorosa, ma per il leader M5S contrattaccare, in fondo, è semplice: il suo rapporto personale con Draghi è sempre stato pessimo e contro il premier e i suoi estimatori ha impostato buona parte della campagna elettorale. Nella sua conferenza stampa, fa quindi notare Conte, «poteva fare un bilancio e prendere atto del fallimento che c’è stato in Europa. Sono passati sette mesi e non abbiamo alcuna strategia per il gas. Invece, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe». E sull'Ucraina, da Draghi «non ci è stata data alcuna indicazione su quale sia stata la sua strategia per uscire dalla guerra. Non abbiamo uno straccio di strategia». Ma di certo, aggiunge con puntiglio sarcastico, «non avremmo potuto gioire per l’avanzata russa».
DRAGHI SALVINI GIUSEPPE CONTE E LA DEPOSIZIONE DI DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI