GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
T.CI. - E.LA per “la Repubblica”
Un'intesa entro giovedì mattina. Non soltanto sulle presidenze delle Camere, ma anche sul governo. Altrimenti in Aula sarà il Vietnam. Altrimenti Ignazio La Russa rischia di non essere eletto alla guida di Palazzo Madama. La minaccia è stata recapitata a Giorgia Meloni da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. E ha aggiunto un nuovo giorno all'elenco di quelli finiti con un nulla di fatto.
E dire che la futura premier aveva in mente tutt' altro schema. Contatta gli emissari del Carroccio e del Cavaliere, propone una politica dei piccoli passi: «Da qualche parte dobbiamo pur iniziare, proviamo a mettere un punto fermo e a chiudere sulle presidenze». Salvini, però, non ci sta. Propone in alternativa Roberto Calderoli. Chiede un accordo complessivo sul governo. Senza, «non potremo sostenere La Russa». E Berlusconi, offeso dal veto su Licia Ronzulli, lo spalleggia: «Noi non accetteremo veti».
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A due giorni dalla prima seduta delle Camere, insomma, il centrodestra resta in alto mare. A Salvini non piace nulla del progetto di Meloni. Contesta ad esempio che il presidente del Consiglio e quello del Senato provengano dallo stesso partito, anche se da Fratelli d'Italia gli ricordano che è già accaduto con Berlusconi e Marcello Pera nel 2001, poi con Renato Schifani nel 2008. Niente da fare, il segretario del Carroccio continua a bloccare ogni accordo.
Rlancia Calderoli, ma è pronto ad accettare la guida di Montecitorio per Riccardo Molinari. A patto, però, che la leader ceda sulla squadra di governo. Se non dovesse accadere, minaccia sfaceli in Aula. A Palazzo Madama, d'altra parte, il regolamento parla chiaro: per la prima (ed eventualmente per la seconda) votazione è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti, dalla terza serve quella semplice dei presenti, alla quarta scatta il ballottaggio tra i due più votati.
MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI
Se la contesa non si risolvesse in tempo, si rischierebbe una contra fratricida nella maggioranza. E Calderoli, raccontano esponenti qualificati della Lega, godrebbe del sostegno trasversale di senatori di Pd e 5Stelle.
Difficile che si arrivi a tanto. Significherebbe azzoppare la legislatura durante il suo primo atto. Ma Meloni, sul Senato, resta irremovibile: «Non lo cedo». È pronta invece a cedere qualcosa su altri fronti, ad esempio alla Lega il ministero dell'Economia, promuovendo Giancarlo Giorgetti. Salvini, però, è contrario. Non ha voglia di garantire una postazione così importante a un suo rivale interno.
La vive come una provocazione. A meno che la prossima presidente non gli assicuri il ruolo di vicepremier, assieme a una delega minore come Agricoltura o Infrastrutture.
Alchimie che tengono in stallo il nuovo governo. L'Economia resta il fronte più caldo. Meloni tenterà fino alla fine di convincere Fabio Panetta, anche se pesa qualche dubbio sull'opportunità di perdere un rappresentante nella Bce. Le alternative rimangono Domenico Siniscalco e Dario Scannapieco.
Quest' ultimo però avrebbe fatto sapere di non essere interessato. E ci sarebbero dubbi sull'idea di sostituirlo al vertice di Cdp in un momento chiave per l'acquisizione della Rete unica da Tim. Sullo sfondo, con minori chance, la sagoma di Gaetano Micciché, manager di Banca Intesa.Poi c'è la grana FI: non si affievolisce la resistenza di Meloni contro il nome di Licia Ronzulli. Per lei, Berlusconi pretende un ministero di primo piano, come Salute o Istruzione.
Vive il "no" come un affronto personale. Al momento manca anche un piano B per la senatrice, ovvero un incarico meno prestigioso quale il Turismo o le Pari opportunità. Nel frattempo, essendo fuori dal risiko delle presidenze delle Camere, Forza Italia ha buttato sul tavolo anche la carta Elisabetta Casellati per la Giustizia. Poche certezze: agli Esteri è destinato Antonio Tajani (si è tirata fuori Elisabetta Belloni). Al Viminale restano alte le chance del prefetto Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini. Per Adolfo Urso, anche lui FdI, si profila la Difesa.