Andrea Rossi per la Stampa
Chiara Appendino sull' orlo delle dimissioni. La maggioranza, che per due anni l' ha sostenuta senza esitazioni, vicina a toglierle la fiducia.
Il Comune di Torino rischia il tracollo, l' eventuale candidatura alle Olimpiadi invernali del 2026 è un tornado che si abbatte con una violenza inattesa e feroce.
In una serata drammatica, tra riunioni, urla, pianti va in scena lo psicodramma di quella che poco meno di un anno fa era la sindaca più amata d' Italia. «Devi ritirare la candidatura di Torino»: quello dei 23 consiglieri del Movimento 5 Stelle è un diktat che travolge tutto, compreso il via libera di Grillo, Casaleggio e Di Maio alcuni mesi fa e le esternazioni pro Torino dei ministri Fraccaro e Toninelli nell' ultimo fine settimana. I Cinquestelle di Torino, da mesi in ebollizione, rompono gli argini: in pochi si sono schierati contro i Giochi dal primo momento, i più hanno temporeggiato, più per lealtà ad Appendino che per convinzione.
Ora no: votano e la maggioranza è contraria alle Olimpiadi. «Chiara, Torino non si deve candidare». Ma la sindaca non ci sta: ha deciso di tentare, oggi dovrebbe essere a Roma per illustrare la bozza di dossier al sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Non ci sta a perdere la faccia e allora alza la posta: non ritiro nulla, piuttosto mi dimetto.
Non è la prima volta che in un momento di tensione , o di fragilità, Appendino minaccia di mollare. Stavolta però è seria. E lo è anche perché la reazione dei suoi consiglieri è durissima: bene, ce ne andiamo tutti a casa.
Appendino si chiude nel suo ufficio: con lei ci sono il vice sindaco Guido Montanari e il capo di gabinetto Mauro Marinari. A pochi metri, nelle stanze riservate al Movimento 5 Stelle, restano i consiglieri.
BEPPE GRILLO - DI MAIO - DAVIDE CASALEGGIO
Il fronte disposto a far saltare il banco adesso è largo, non più circoscritto a quei cinque consiglieri da sempre ostili.
Adesso i contrari sono diventati maggioranza ed è successo perché non condividono il metodo scelto da Appendino: fughe in avanti, decisioni prese in solitudine. Le contestano di tenere più ai rapporti con alcuni pezzi di città, i "poteri" che alle parole d' ordine di un programma rimasto confinato alla campagna elettorale.
«Da due anni stiamo facendo il contrario di quel che avevamo promesso». E le Olimpiadi ne sono l' emblema.
Appendino non può assecondare la richiesta di abbandonare la corsa olimpica. Non la condivide: in questa partita si sente di rappresentare la maggioranza dei torinesi e la spinta dei settori più propulsivi della città, a favore dei Giochi. «Sono la sindaca di tutti, Torino viene prima del Movimento», è una frase che ripete spesso. Un passo indietro, poi, adesso avrebbe effetti devastanti per la sua credibilità.
Non può tornare indietro, la sindaca. Ma non possono farlo nemmeno i consiglieri.
Non vogliono, soprattutto: il no alle grandi opere e ai grandi eventi, considerati terreno buono per speculatori e interessi torbidi, è uno dei caposaldi delle origini, ancora molto sentito nelle truppe torinesi, per gran parte legate ai movimenti della sinistra e già molto a disagio per l' allenaza di governo con la Lega a livello nazionale.
In più c' è un elemento quasi umano: il logorio di una maggioranza che da due anni non riesce a lasciare il segno che vorrebbe. E che, per questo, non sembra più disposta a seguire la sua sindaca. Si arriva così al dramma di ieri sera: Appendino chiusa nelle sue stanze, i consiglieri nelle loro.
Muro contro muro, nessuno disposto a cedere. E questa minaccia - «mi dimetto» - che incombe e stavolta sembra davvero reale.
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