Gianfranco Ferroni per “Il Tempo”
L’EX DIRETTORE SORGI, COME IL DIAVOLO, VESTE PRADA
In un pomeriggio romano un signore elegante solca via del Babuino diretto verso piazza del Popolo. Ha nella mano sinistra una gigantesca busta griffata Prada, e tra i tavolini del bar Rosati c’è chi lo riconosce: si tratta di Marcello Sorgi, già direttore del Tg1. Inevitabile la battuta: “Sorgi, come il diavolo, veste Prada”.
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IL REGISTRO DEI LOBBISTI ATTENDE CONTE
Arriva l’ora dei lobbisti. E tra i grillini c’è qualcuno che prevede di vedere prossimamente, nel registro pubblico, il nome dell’ex premier Giuseppe Conte. I fatti: lunedì prossimo l’aula della Camera dei Deputati esaminerà la proposta di legge unificata sulla disciplina delle relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, ed è la prima volta che la materia arriva alla discussione generale in assemblea.
In particolare, il testo attuale prevede che chi ha svolto attività di governo a livello nazionale e regionale non può iscriversi al registro per un anno dopo la fine dell’incarico, escludendo che i parlamentari possano accedervi durante il mandato. Quindi, in futuro per Conte esiste la possibilità di diventare un lobbista: il governo di Mario Draghi è in carica dal 13 febbraio 2021, e l’anno di attesa sta per scadere.
dario franceschini foto di bacco
E lui non è un parlamentare, addirittura rinunciando a quelli che una volta venivano definiti come “collegi blindati”, gentilmente offerti dal Pd di Enrico Letta. Sarà un caso, ma proprio tra i seguaci di Beppe Grillo c’è chi vuole allungare il periodo di attesa ad almeno due anni per chi volesse iscriversi nel registro avendo svolto attività di governo, evitando così ogni futura tentazione lobbista a Conte.
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FRANCESCHINI, UNA POLTRONA PER LA CALANDRELLI
É stato firmato ieri mattina dal ministro della Cultura Dario Franceschini il decreto che istituisce la commissione per la designazione del titolo di Capitale italiana della cultura per l’anno 2024.
Presidente, la filosofa Silvia Calandrelli, direttore Rai Cultura e direttore Genere Cultura ed Educational. Componenti, Salvatore Adduce, presidente della Fondazione Matera-Basilicata 2019; Maria Luisa Catoni, ordinaria di Archeologia nella Scuola Imt Alti Studi Lucca; Beniamino de’ Liguori Carino, segretario generale della Fondazione Adriano Olivetti; Stefania Mancini, consigliere delegato di Fondazione Charlemagne e vicepresidente vicario di Assifero; Luigi Mascheroni, giornalista e docente all’Università Cattolica di Milano; Giuseppe Piperata, ordinario di diritto amministrativo allo Iuav di Venezia. La commissione esaminerà le 23 candidature (ben 4 sono toscane e 3 venete) e selezionerà i 10 progetti finalisti.
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A GIUSEPPE DE RITA PIACE L’OCCITANE
Storico presidente del Censis, Giuseppe De Rita si affaccia spesso nelle strade del centro storico romano nelle ore più impensabili. Qualche giorno fa, quando ormai era quasi notte, ha ammirato a lungo una vetrina con i prodotti “L’Occitane”, in via Frattina.
Li ha guardati tutti con attenzione, uno per uno. Chissà, magari la visione sarà servita per uno dei tanti studi sui consumi degli italiani in tema di prodotti da bagno, per la cura della pelle e dei capelli.
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BENETTON E I “NON RICORDO” DI MION
In questi giorni nel mondo della finanza e delle costruzioni, tra Milano e Roma, gira una storiella di cui è protagonista Gianni Mion. Il Fatto Quotidiano ha da poco pubblicato alcuni stralci dell’interrogatorio a cui è stato sottoposto il manager che per tanti anni ha servito i Benetton, con Mion che accusa gli azionisti di maggioranza di Atlantia e l’ex ad Giovanni Castellucci in merito al disastro del ponte Morandi a Genova.
Alcuni ipotizzano che Mion, da sempre considerato uomo forte di Edizione, holding dei Benetton, “vorrebbe oggi passare da ‘bella addormentata nel bosco’, con un mix paradossale di ‘non ricordo’ e di ‘l’avevo pensato’ riferiti ai magistrati su un presunto incontro svoltosi prima del 2013 in cui si sarebbe parlato anche del ponte genovese, avendo in realtà nel mirino anzitutto i Benetton e poi anche Castellucci, e che tale comportamento sia dovuto all’astio maturato da Mion per il duplice licenziamento prima nel 2016 e poi nel 2020, ma non lesinato mai anche nei confronti di un altro storico big di Autostrade, ‘don’ Vito Gamberale”. Possibile?
GIANNI MION giovanni castellucci di autostrade giovanni castellucci GIANNI MION