Sara Gandolfi per il “Corriere della Sera”
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«Agli uomini e alle donne che sono stati portati nei campi di prigionia o in prigione senza accusa, alle persone che non sono più con noi per ascoltare queste scuse.... ai figli e ai nipoti che hanno portato la vergogna e il dolore di una generazione passata, e alla loro comunità, che ha dato tanto al nostro Paese, ci dispiace».
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Con queste parole il premier canadese Justin Trudeau, giovedì alla Camera dei Comuni, ha rivolto le scuse formali agli italo-canadesi internati durante la Seconda guerra mondiale nel Paese.
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«Erano imprenditori, lavoratori e medici. Erano padri, figli e amici - ha detto Trudeau -. Una volta arrivati in un campo, non c'era durata della pena. A volte, l'internamento è continuato per alcuni mesi. A volte, per anni. Ma gli impatti, quelli sono durati una vita».
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Ha aggiunto che il Canada era nel giusto ad opporsi al regime italiano che si schierava con la Germania nazista, ma fu un errore trasformare «gli italocanadesi rispettosi della legge in un capro espiatorio». «È ora di fare ammenda», ha concluso in francese.
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Nel 1939 al ministro della Giustizia canadese fu conferito il potere di internare, sequestrare proprietà e limitare le attività dei residenti nati in Stati che erano in guerra con il Canada, con l'intento di proteggere il Paese da tentativi di sabotaggio o sovversione.
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A farne le spese furono soprattutto i giapponesi. Dopo che Mussolini strinse l'alleanza con Hitler, circa 600 italo-canadesi vennero chiusi nei campi d'internamento, quattro donne finirono in carcere e circa 31.000 altri italo-canadesi furono dichiarati «alieni nemici», provocando maltrattamenti e discriminazioni.
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Nel porgere le scuse, il premier ha raccontato la storia di un uomo, Giuseppe Visocchi, arrestato nell'estate del 1940 durante un matrimonio a Montreal. La polizia disse alla sua famiglia che sarebbe tornato subito.
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Fu invece mandato in un campo di prigionieri di guerra a Petawawa, costretto ad indossare un'uniforme con un numero sul retro che lo contrassegnava come internato. Sono passati due anni prima che potesse tornare alla sua casa. «Questa non è la storia di un solo uomo, o di una sola famiglia», ha detto il primo ministro Trudeau. Quindi ha concluso ringraziando chi è rimasto, nonostante tutto.
«Gli internati e le loro famiglie hanno mostrato la via: integrità, solidarietà, fede e lealtà al Canada. Per questo, il nostro Paese è loro grato». Oggi sono 1,6 milioni i canadesi di origine italiana - una delle più grandi diaspore italiane nel mondo - anche se molti sono discendenti da immigrati giunti in Nord America dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Pur non giustificando i campi di prigionia, alcuni storici criticano la lettura un po' troppo semplicistica di quanto avvenuto in quegli anni, ricordando che molti degli internati facevano propaganda attiva per il fascismo.
justin trudeau maria elena boschi
Positivo invece il commento a caldo degli esponenti della comunità italo-canadese. Come James Malizia, ex vice-commissario per la sicurezza nazionale della Polizia reale canadese a cavallo, il cui nonno venne internato per tre anni: «È un momento di guarigione, le famiglie sono state finalmente ascoltate dopo essere state messe a tacere per molti anni», ha detto in un'intervista a CTV News Channel.